Dopo non aver fatto nulla per impedire che diventassero la forza più pericolosa della guerra civile siriana, l’Arabia Saudita ha messo fuori legge le milizie islamiche che combattono in quel Paese martoriato. La loro presenza, oltre ad essere una minaccia per tutti – non solo per il regime di Bashar Assad – rende impossibile aiutare le forze moderate e democratiche siriane.
Meglio tardi che mai. Facendolo, l’Arabia Saudita non pensava solo al futuro della Siria ma anche al suo. Come già in Afghanistan e in Iraq, sono centinaia i giovani sauditi che combattono per costruire un emirato islamico siriano. Generazioni educate da un sistema scolastico intollerante come quello wahabita saudita, sulle quali alcuni predicatori non hanno faticato a compiere il definitivo lavaggio del cervello. Come era già successo dopo l’Afghanistan e l’Iraq, questi giovani potrebbero tornare a casa a usare l’arma del terrore contro il governo di re Abdullah: ai loro occhi un pericoloso riformatore.
Quello che colpisce, tuttavia, è la messa fuori legge anche del movimento dei Fratelli musulmani. Lo aveva già fatto in Egitto il governo provvisorio controllato dl generale al Sisi, che aveva bandito la fratellanza del suo Paese e perfino quella palestinese della striscia di Gaza: Hamas è una costola dei Fratelli musulmani. Come occidentali laici può farci istintivamente piacere che sia emarginato chi della fede fa un uso politico. Convinzioni come “l’Islam è la soluzione” non fanno mai bene alla crescita della democrazia.
Tuttavia fatico a vedere la democrazia in Arabia Saudita. E dubito che l’obiettivo del nuovo regime egiziano sia il messaggio democratico, per quanto confuso, di piazza Tahrir: quello che prende corpo giorno dopo giorno al Cairo è un sistema più illiberale di quello dei tempi di Hosni Mubarak. Tanto più che dell’ampio e variegatissimo fronte dell’Islam politico, la fratellanza è, o era, ovunque la versione più moderata.
E’ un movimento terroristico Ennahda, il partito islamico di maggioranza della virtuosa Tunisia che ha votato una Costituzione di fronte alla quale il moderato Abdullah in Arabia Saudita è il custode di un sistema medievale? In Egitto Mohamed Morsi era stato un presidente inadeguato e arrogante: ma nel suo unico anno di governo la stampa egiziana ha goduto di una libertà di critica che oggi non esiste più. E in Siria? Laggiù i Fratelli musulmani sono parte integrante di quel caotico fronte filo-occidentale, sostenuto anche dai sauditi: loro e noi stiamo dunque aiutando dei terroristi in Siria? Perfino Hamas, con tutte le sue ambiguità, è l’ipotesi più moderata di una striscia di Gaza che rischia di cadere nelle mani di jihadisti e qaidisti.
Nelle valutazioni dell’Arabia Saudita la vera minaccia alla stabilità della monarchia non sono tanto i suoi giovani che potrebbero tornare dalla Siria con delle idee sbagliate. Molto più pericolosi sono i Fratelli musulmani e il Qatar la cui famiglia regnante, cugina degli al Saud, applica una versione più aperta del wahabismo. L’Islam più moderato degli uni e degli altri, temono a Riyadh, potrebbe diventare un’alternativa plausibile all’oscurantismo della monarchia saudita.
Anticipando la decisione di equiparare i Fratelli musulmani al terrorismo, qualche giorno prima l’Arabia saudita, gli Emirati e il Bahrein avevano congelato le loro relazioni diplomatiche con il Qatar. Anche l’Egitto non aveva più rimandato il suo ambasciatore a Doha. I qatarini erano i grandi sponsor della fratellanza ovunque fosse presente nella regione.
Esagerando nell’equazione fra dimensioni, peso specifico e ricchezza della sua piccola penisola, il vecchio emiro Hamad al Thani, aveva trasformato la fratellanza nello strumento delle ambizioni mediorientali qatarine. Suo figlio Tamim, succeduto l’anno scorso, è intenzionato a dare al Qatar un profilo più basso: godersi la ricchezza garantita dal gas, senza pensare alla geopolitica. Ma il poco tempo a disposizione e gli eventi mediorientali non gli hanno ancora consentito di chiarire la nuova linea.