Dimostrando di essere un’attitudine nazionale e non un fenomeno del suo tempo, le startup israeliane macinano idee e producono ricchezza da vent’anni. Nel 2013 gli stranieri hanno speso 6,45 miliardi di dollari per comprare imprese israeliane. E’ il 20% più del 2012. Sempre l’anno scorso 622 compagnie hi-tech hanno accumulato investimenti per 2,3 miliardi. Giova sempre ricordare che stiamo parlando dii un Paese da 8 milioni di abitanti, 20% dei quali arabi.
Questo successo spiega, per esempio a noi italiani, che il problema non è se i francesi si comprano le poltrone Frau ma se l’inventiva e le tecnologie del nostro sistema sono capaci di creare altre 10-100 imprese equivalenti a Frau. Nel 2013 Google aveva acquisito per un miliardo Waze, tecnologia israeliana per navigazioni; e nel ’14 ha comprato Slick Login, una startup di Tel Aviv nata tre mesi fa.
Non è tuttavia di Italia che volevo parlare ma di Israele. Le startup sono il frutto di quello che gli esperti del settore chiamano “ecosistema”: un alto livello di scolarizzazione, una società aperta, una democrazia diffusa, regole di mercato trasparenti. Israele è tutto questo. E Israele è anche la campagna che le destre e una buona parte del governo stanno facendo in nome di un anacronistico Stato etnico.
E’ superficiale sottovalutare o condannare come “fascista” la pretesa di Netanyahu che nella trattativa di pace sia considerata come irrinunciabile “l’essenza ebraica dello Stato d’Israele”. E’ parte della narrativa israeliana del conflitto, come il diritto al ritorno dei profughi lo è per i palestinesi. La questione è intendersi sulle modalità dell’obiettivo: tra ammettere e negare queste aspirazioni, il negoziato è in grado di produrre una gamma di compromessi intermedi.
Dai primi piani di spartizione territoriale dell’Onu alle proposte più avanzate e pacifiste per la soluzione del conflitto (per esempio l’Accordo di Ginevra del 2003), si è sempre parlato di uno Stato per gli ebrei e uno per gli arabi. Israele è esattamente nato per dare un rifugio agli ebrei perseguitati di tutto il mondo. Il sionismo non è un’ideologia razzista: è solo brutale come tutti i risorgimento nazionali, compreso il nostro.
Tuttavia l’idea di nazione ebraica di Naftali Bennett, ex imprenditore dell’hi-tech, ministro dell’Economia, colono e leader del partito sciovinista Habayit Hayehudi (Casa Ebraica), è piuttosto a senso unico. Per Bennett non solo uno Stato per gli arabi palestinesi non deve esistere: anche gli arabi cittadini d’Israele, dove non si possono espellere, devono essere considerati cittadini di seconda classe. Questo lo sono già nei fatti: secondo Bennett lo devono diventare anche per legge.
Sfortunatamente lo zelota Naftali non è solo. Sono tanti i ministri degli Esteri italiani succedutisi in questo ultimo anno e mezzo. Tuttavia ogni volta che Avgdor Lieberman viene in visita alla Farmesina ed espone le sue idee sul conflitto, gela il sangue ai suoi interlocutori. Lieberman, oltre che vicepremier e ministro degli Esteri israeliano, è il capo di Yisrael Beiteinu (Israele la Nostra Casa: hanno poca fantasia i nazionalisti) e un fan di Vladimir Putin.
Ma Naftali Bennet forse lo batte. Per contenuti, le sue assemblee di partito ricordano le adunate di Norimberga. “Dobbiamo mostrare tolleranza zero per le aspirazioni nazionali degli arabi israeliani”, “Giudaizzare la Galilea e il Negev (dove vive la maggioranza del 20% della popolazione araba d’Israele, n.d.r.) è in linea con i valori dello Stato”. Si parla di creare un’”Amministrazione per l’identità ebraica” e di nuovo modello educativo “per rafforzare Israele come Nazione-Stato ebraica”.
Ai molti che amano fare dell’erba di Israele un unico fascio, vorrei tuttavia far leggere il testo di una sentenza del giudice Aharon Barak, ex presidente dell’Alta Corte israeliana. Barak aveva dato ragione ai Ka’dan, una famiglia araba israeliana alla quale era stato negato il diritto di comprare casa in un villaggio abitato da ebrei. Naturalmente per Naftali Bennet il giudice è un traditore.
Scriveva Aharon Barak nella sua sentenza riportata da Ha’aretz: “Dai valori dello Stato d’Israele come Stato ebraico e democratico, noi non conseguiamo in alcun modo che lo Stato debba discriminare fra i suoi cittadini…. E’ vero l’opposto. L’uguaglianza dei diritti fra tutti gli esseri umani in Israele – quale sia l’affiliazione religiosa o nazionale – consegue dai valori dello Stato d’Israele come Stato ebraico e democratico”. Ecco il vero Stato ebraico che nessuno al mondo può contestare. A parte Naftali lo zelota, naturalmente.