Per la prima volta nella storia moderna, nel 2012 i Paesi asiatici hanno speso in armamenti più degli europei dell’Unione (la Russia è un’altra storia). Solo Gran Bretagna, Estonia e, colpo di scena, la povera Grecia, hanno investito per la difesa più del 2% del Pil, richiesto dalla Nato ai suoi associati.
Lo dice Fride, il think tank di Madrid e Bruxelles che si dedica agli studi europei. Per molti è una eccellente notizia, per altri pessima: per i primi è la prova della superiorità della nostra civiltà, per gli altri di una decadenza senza limiti; un faro di pacifismo contro un esercizio di miopia, considerando che il resto del mondo continua a pensare che gli eserciti contino.
Fride, che appartiene alla scuola dei pessimisti, ricorda che il residuo di capacità operativa – e quindi di deterrenza – europea, sia ancora più messa in discussione dal tipo di investimenti che i Paesi in via di sviluppo fanno in campo militare: sistemi antiaerei e antimissilistici sempre più potenti. Anche nel confronto tecnologico, dunque, rischiamo di contare sempre meno.
All’inizio degli anni ’90 la Marina olandese aveva 20 fregate, oggi otto; quella italiana ha ridotto della metà sia le fregate che i cacciatorpediniere. La grande crisi finanziaria è iniziata verso il 2007 ma è da oltre un ventennio, dalla fine della Guerra fredda, che le spese militari europee declinano progressivamente. La recessione, nota Fride, è la causa meno importante della perduta tauromachia europea. Quella che conta è politica: “l’autocompiacimento e un fraintendimento nell’approccio all’uso della forza militare”.
E se la soluzione a questa inerzia bellica fosse la neutralità? L’idea è di Sergio Romano, articolata in un saggio che, con altri dedicati al ruolo del vecchio continente in un mondo che cambia, compone “L’Europa in seconda fila”. E’ l’ultima produzione dell’Istituto per gli studi di politica internazionale, l’Ispi di Milano, che analizza la perdita di peso economico e politico della Ue, dentro la cui crisi annaspa la crisi italiana. Il rapporto, ora in e-book sul sito dell’editore Egea, sarà presto pubblicato in edizione cartacea.
Nel suo saggio l’ambasciatore Romano constata la crescente inconsistenza della struttura politica e di sicurezza europea. Ritenendo questa una tendenza ineluttabile di fronte a un mondo nel quale poteri e ricchezze emigrano da una regione all’altra, in questo mondo in mutazione serve una forma di riconoscibilità, un gesto identificativo della validità della nostra unione. E serve con una certa urgenza se vogliamo riprendere a contare.
Fuori dall’Occidente, al momento l’Europa è identificata con le scelte americane: per lo più mediocri; a volte, come in Medio Oriente, fallimentari. Settant’anni dopo la liberazione, secondo Romano, i nostri interessi e i loro non sono più così convergenti. La soluzione, tenendo anche conto dell’ostilità crescente delle opinioni pubbliche europee verso ogni genere d’intervento militare, è proclamare la neutralità.
C’è tuttavia un problema per i pacifisti, gli isolazionisti e per chiunque pensasse di fare spending review con l’equidistanza internazionale. La neutralità che intende Sergio Romano serve perché l’Europa conti di più, non perché esca di scena e si faccia dimenticare. Per essere credibile, una neutralità ha due vie d’uscita: rinuncia del tutto a una forza armata, come il Vaticano con le sue 110 guardie svizzere; oppure si arma, forse anche di più. Perché questa scelta va difesa dai molti che la confonderebbero per debolezza; e perché, per definizione, il neutrale non ha alleati che corrano in suo soccorso in caso di pericolo.
Nella versione francescana come in quella più determinata, serve comunque una diplomazia attiva, articolata e con molte risorse: la Santa Sede non ha divisioni corazzate ma nunziature, cioè ambasciate, in ogni angolo del mondo. Insomma, tutto costa. Anche la pazienza cristiana e la neutralità.
Allego, per abbondare, un'analisi sul nuovo governo libanese, pubblicata giusto di passaggio sul sito del Sole-24 Ore.
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-02-15/libano-10-mesi-c-e-governo-hezbollah-e-har…