E’ passata un’altra giornata della memoria dedicata alle migliaia di vittime delle foibe e ai 350mila italiani costretti a lasciare l’Istria, fra il 1945 e il ’47. Ogni volta che si celebra, è un passo in avanti verso la conoscenza di una Storia condivisa che rende popolo una comunità di persone accidentalmente nate e vissute nello stesso spazio geografico.
Come figlio di una fiumana, oltre che un piacere è un dovere per me tornare su questo blog a parlarne almeno una volta l’anno. Ciò non significa che anche la mia memoria personale abbia la stessa tempistica: il destino da profughi della parte materna della mia famiglia è eredità del mio dna. I profughi e i figli di profughi che ho incontrato nella mia vita da inviato internazionale – ebrei e palestinesi, armeni, siriani, ruandesi, afgani, indiani, pakistani – avevano tutti nel loro sguardo la stessa ombra di tristezza della mia bellissima madre.
Ricordo da bambino, quando mia madre e mio nonno mi portavano a Milano agli incontri del Circolo giuliano-dalmata. Quelle assemblee avevano un che di catacombale: quasi segrete perché tutti sapevano di riunirsi per celebrare qualcosa di politicamente scorretto.
Per il Pci erano solo fascisti, per i democristiani un caso chiuso con gli accordi di Osimo, laici e socialisti non li avevano in agenda perché era il Paese a ignorarli: i giuliano-dalmati venivano accolti con la stessa diffidenza che continuiamo a riservare ai disperati che oggi sbarcano a Lampedusa. E’ paradossale che gli unici a difendere i profughi istriani e i sopravvissuti delle foibe fossero i fascisti (i missini di allora non erano post-fascisti: erano fascisti e basta). Essere difesi dai corresponsabili del loro tragico destino era come mettere sale su ferite non rimarginabili, aperte per la vita.
Caduto il fascismo, credo che i titini avrebbero comunque compiuto la loro pulizia etnica. Perché erano ideologicamente titini, una forma locale di stalinisti; perché la storia delle guerre balcaniche è piena di massacri etnici; e perché è il destino di tutte le zone di frontiera: un fantastico melting pot in tempo di pace, produttore di cultura, commerci e tolleranza; un incubo sanguinoso in guerra.
Tuttavia le porcherie fatte dal regime fascista e stupidamente razzista in quelle bellissime terre, soprattutto negli anni dell’agonia del regime, ha aperto la porta alla vendetta e al giustificazionismo successivo. Quando a Milano i ferrovieri della Cgil boicottavano e insultavano i profughi che arrivavano con la valigia in mano, quel comportamento era il frutto di un combinato composto viscido e schifoso: fascismo più stalinismo.
Ma questo è il passato. Qualcuno potrebbe obiettare che non è così passato se un paio di settimane fa un gruppo di scalmanati ha cercato di fermare a Scandicci la pièce teatrale di Simone Cristicci. “Magazzino 18”, il nome dello spettacolo, era il molo del porto di Trieste dal quale partivano i profughi. “La storia non è una fiction, non ricordiamo tutto”, cioè non la Storia che non ci fa comodo ricordare, diceva uno striscione. Si è poi scoperto che erano militanti di un paio di centri sociali: “Noi saremo tutto” e “Firenze antifascista”. Così giovani e già così stalinisti, non si potevano accontentare di volantinare all’ingresso del teatro, come avrebbero avuto il diritto di fare. Un’idea diversa dalla loro doveva essere fermata.
Quei ragazzi violentano la Storia con la stessa superficialità con la quale altri loro coetanei violentano le compagne di classe nei bagni della scuola, filmando l’azione: anche i giovani antifascisti di Firenze hanno immortalato la loro. Ma gli uni e gli altri sono una minoranza estrema e data l’età, entrambe le categorie di violentatori sono vittime di chi doveva educarli a casa e a scuola.
Tuttavia, come figlio di fiumana, mi sento di dire che i giuliano-dalmati hanno finalmente acquisito la considerazione degli italiani. Sono entrati nella memoria nazionale, ne fanno parte. La gran parte di coloro che avevano sbagliato, ha fatto ammenda. Di più: ho avuto la sensazione che la nostra giornata della memoria sia stata un po’ una giornata della retorica. E questo non è un male. E’ al contrario un segno di normalità, la prova che chi governa – chiunque lo faccia – ha l’obbligo istituzionale ed elettorale di ricordarci. Fratelli istriani ed eredi, finalmente anche noi siamo politicamente corretti! Andé in mona, era ora, avrebbe detto mio nonno.