Qualche giorno fa al talk show di Lilli Gruber sulla 7, Matteo Renzi ha rimesso in bella mostra la sua foto con Mandela. Era sparita dai parafernalia renziani dopo alcune polemiche sull’opportunità di esibire un’immagine finta nei giorni del lungo funerale di Madiba.
La foto è reale, scattata nell’aprile del 2012 quando il sindaco di Firenze andò fino a Johannesburg per consegnare un premio all’illustre infermo: sono certo non a spese della curva Fiesole né di ogni altro contribuente fiorentino. Per foto finta intendo che Madiba era già in grado d’intendere e volere molto poco: probabilmente non sapeva chi avesse accanto nella sua casa di Houghton. Era Renzi che voleva mettere nel suo carniere personale e propagandistico un’immagine utile.
Ma non è per queste polemiche che torno sulla vicenda della foto. Ho votato Renzi alle primarie del Pd e questa esibizione un po’ infantile non mi impedirà di rifarlo alle elezioni politiche. Il ritratto incorniciato alle spalle del segretario del primo partito italiano e, presumibilmente, del presidente del consiglio della svolta politica e generazionale, mi ha fatto pensare alla politica estera del nostro Paese.
Mi sono chiesto: la nostra relazione con le vicende internazionali continuerà ad essere questa cosa inesistente, fatta d’immagini cool e non di sostanza? Sulle pagine dei giornali, nei ripetitivi (per tematiche) talk show televisivi e radiofonici, su Twitter o Facebook, qualcuno ha mai sentito Renzi e i renziani parlare o visto scrivere di questioni estere? Che so, l’importanza della Cina per i nostri mercati o il pericolo che rappresenta per la stabilità asiatica; il successo o il fallimento delle Primavere arabe; se il generale al-Sisi è un fascista o un liberatore, se alla fine in Siria è meglio Bashar Assad dei qaidisti; il nucleare iraniano, il negoziato israelo-palestinese; il nostro ruolo nella Nato e il contributo richiesto in tema di spese militari; saremo più atlantisti o più europeisti; se, dove e come i nostri militari devono essere impegnati in missioni di pace all’estero.
A un certo punto sulla 7 Renzi ha chiesto di parlare di Europa, visto che a “Otto e mezzo” non lo si faceva mai; e Lilli si è risentita, ricordando che invece di Europa si è parlato spesso. Ma l’Europa è ormai di gran lunga un tema di politica interna che estera. E’ su tutto il resto che l’Italia sembra un Paese fuori dal mondo.
Perché non è solo Matteo Renzi a ignorare la politica internazionale. Nell’attuale governo il Presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri svolgono una specie di minuto mantenimento come se loro per primi fossero convinti che con l’aria che tira e i mezzi a disposizione, una politica internazionale attiva sia una cosa da ricchi.
I talk show televisivi e radiofonici sono una ripetitiva serie di scontro Renzi/Letta, Alfano/Renzi/Grillo, Grillo/Berlusconi, Berlusconi/resto del mondo. Ici, Imu, Tarsu; disoccupazione giovanile, job act, spread. Intendiamoci, sono temi più urgenti e di gran lunga più importanti degli “Esteri”. Riguardano il nostro presente e il futuro dei nostri figli, le nostre tasche, il posto di lavoro o la disoccupazione.
Fino alla fine degli anni Ottanta sui giornali scrivevamo molto di esteri perché le vicende italiane erano noiose: c’erano la Guerra fredda che cristallizzava i partiti, il Caf, le correnti Dc, il centralismo democratico del Pci, l’arco costituzionale e le convergenze parallele. Anche per non avere guai, i direttori davano grande spazio alle vicende internazionali. Dopo Tangentopoli la politica interna è diventata interessante e divertente. Oggi è fondamentale perché, appunto, parla della nostra ricchezza e della nostra povertà.
Quello di cui parlo è la misura. E’ giusto che le prime pagine dei giornali siano piene di cose italiane e che i talk show vi si dedichino continuamente. Ma è possibile che nei discorsi dei politici e nel lavoro dei giornalisti, il mondo debba scomparire cosi? Ieri Corriere e Repubblica avevano una pagina intera sulla Francia: si scriveva del comico antisemita e dell’amante di Francois Hollande. E’ politica estera? Io credo che la maturità del nostro Paese si giudichi anche dalla capacità di misurarsi col mondo e di non pensare di esserne al centro solo perché esistiamo. Ma forse mi sbaglio.