Lettera da Base 1.31

DSC_0032Lecce è a 1.729 chilometri da qui. Non è una gran notizia ma per chi ha piantato l’indicazione nel terreno fradicio del Libano Sud, è una ragione di conforto: casa è laggiù, verso Nord Ovest, oltre il Mediterraneo che da queste colline sembra avere una larghezza oceanica.

  “Qui” non è Doha dove si decidono i destini del Medio Oriente, non è il Cairo dove il futuro dell’Egitto cambia ogni ora. Non è nemmeno il campo di battaglia della Siria che in una giornata tersa la guardia in cima alla torretta riesce a vedere verso Est.

  Anche “Qui” è stato tante volte un campo di battaglia, molto peggiore della Siria. Dire che attorno ci siano campi minati, è riduttivo: sono stratificazioni di mine, tante quanto i conflitti combattuti fra Israele e gli arabi. Nella stagione delle piogge alcuni ordigni di qualche guerra fa scivolano con il fango nei wadi, rendendo inutili le mappe che indicano la disposizione delle mine e difficile il lavoro degli sminatori italiani dell’Onu.

   “Qui”, dunque, è Base 1.31, un ridotto italiano di Unifil sulla frontiera fra Israele e Libano. Centocinquanta metri per 150. Solo 22 donne e uomini del Savoia Cavalleria, comanda il maresciallo Diego Toraldo. Sono parte del migliaio di caschi blu italiani, parte dei 12mila militari di 37 Paesi che compongono la forza d’interposizione delle Nazioni Unite. Il turno in questo fortino isolato a otto chilometri da Shama, il quartier generale di Italbatt, dura due mesi. L’unica compagnia, giusto sotto la torretta più alta di 1.31, è una postazione israeliana raramente abitata da soldati in carne ed ossa. In genere i suoi sensori di controllo sono attivati a distanza. Le carte militari la indicano come W 404 Bravo.  

   Il confronto fra Israele ed Hezbollah è congelato: altri eventi stanno accadendo attorno. Ora, oltre il filo spinato di 1.31 è tutto calmo e silenzioso. A parte il vento che soffia impetuoso e la pioggia che cade a secchiate. Ma la base non deve essere scambiata per una Fortezza Bastiani in mezzo a una pianura desolata. E’ esattamente il contrario: questa è una terra troppo piccola e sempre più abitata per accontentare tutti quelli che la vogliono.

   La base italiana è a picco sopra Israele. Giusto sotto si distinguono le strade di Morad Ha’ar e Shlomi. Più a destra Hanita sale sulla collina e quasi si appoggia sul confine libanese. Dall’altra parte, oltre la boscaglia piena di mine, c’è il villaggio cristiano di Alma As Sha’b.

  Senza bisogno del cannocchiale, alla sinistra
del campo visivo in direzione di Israele incominciano le colline della Galilea;
davanti la piana costiera piena di campi, di serre, di luci, di centri abitati
e di gente. Lungo il litorale si distinguono Nahariya, San Giovanni d’Acri, a
Sud fino al monte Carmelo e al golfo di Haifa. A destra il mare che prima o poi
porta al Salento. Alle spalle, oltre un confine evanescente come sono tutte le
frontiere da queste parti, il Sud del Libano con le colline dal profilo dolce
ma che sprofondano in wadi a volte inaccessibili. Se non ci fossero le nuvole
nere, basse e cariche d’acqua, il Golan si staglierebbe a formare lo sfondo
superbo di un panorama senza precedenti.

  E’ tutto così piccolo, una geografia e una
geopolitica che studiamo sulle mappe e che qui è materiale, concreta, a vista
d’occhio. Se ci fosse la pace Base 1.31 sarebbe una meta turistica. Agenzie di
viaggio autisti, albergatori e ristoratori di qua e di là della frontiera,
farebbero un sacco di soldi.

   Se ci fosse la pace si potrebbe noleggiare un’auto
a Beirut, prendere l’autostrada Hariri, arrivare in poco più di un’ora a questa
frontiera e attraversarla. Traffico permettendo, l’autostrada costiera
israeliana porterebbe in quattro ore a Rafah, fra Gaza ed Egitto. Dritti
attraverso il deserto del Sinai e il canale di Suez, in cinque ore si
arriverebbe alle piramidi. Una decina di ore da Beirut al Cairo.

  Ma in dieci giorni, se ci fosse la pace, dopo
aver goduto i piaceri di Beirut, andando a Sud verso le piramidi, si potrebbe
sostare al lago di Tiberiade, scendere lungo la valle del Giordano fino al Mar
Morto, risalire a destra verso Gerusalemme e proseguire in direzione di Tel
Aviv. O a sinistra prendere la strada che porta al ponte di Allenby, e poi su,
verso la Giordania e il monte Nebo.

  Ma la pace non c’è e questo viaggio è solo un
miraggio per viaggiatori tenacemente capaci di sognare. E’ per questo che Base
1.31 è qui, a 1.729 chilometri da Lecce.

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  • baruch |

    Stupendo , Ugo , stupendo ! 1000 volte
    stupendo !!!!
    Pierre Loti ed anche Liala non avrebbero saputo far di meglio !
    Che descrizione ! E che anelito per la pace !
    Ah , se tutti si amassero ! Ah che bei posti da attraversare in quattro ore !
    Ah come e’ pacifico lei !!
    Ah,Ah ,Ah !
    PS Comunque va bene , e’ riuscito per questa volta a non dare la colpa di tutto Nethanhiau .
    Si e’ distratto ?

  • carl |

    Splendido… bellissimo…
    propongo di designare Tramballi il corrispondente medio-orientale dell’anno che verrà..
    p.s. anno in cui, come cantava il defunto..sarà 3 volte natale e festa tutto il giorno..
    Cmque, come dice en passant Rabo (un nativo?), mai perdere la speranza, almeno in un sussulto della razionalità perduta o emarginata..
    Carl

  • Rabo |

    Beati pacifici quoniam filii Dei vocabuntur !
    Non perdiamo mai la speranza per la pace.
    Un saluto

  • yeoman75 |

    Bellissimo pezzo

  • Luigi Lusenti |

    Splendido articolo. Sono stato in quei posti per lavoro è ho ritrovato in queste righe tutto quello che ho provato io.

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