E se alla fine vincesse Hamas?

Hamas2   Egitto, Turchia, Qatar. Se le truppe israeliane non hanno ancora ricevuto l’ordine d’attacco su Gaza è per quello che sabato accadeva al Cairo: non solo un vertice ma uno straordinario segnale del mutare dei tempi in Medio Oriente.  Si tratta un cessate il fuoco ma Hamas non interrompe i suoi lanci di razzi e Israele, mentre risponde con l’aviazione, prepara l’offensiva terrestre.

  Almeno 30mila soldati e centinaia di mezzi sono alla frontiera della striscia e attendono. Il ministero della Difesa ha messo in allerta 75mila riservisti. La sproporzione, il numero eccessivo di truppe per una missione di questo genere – nella precedente invasione di quattro anni fa erano stati richiamati 10mila uomini e donne- in qualche modo segnala più la volontà di premere su Hamas che quella di agire davvero.

  Le valutazioni che in queste ore stanno facendo i vertici israeliani sono infatti più politiche che militari. Il giornale Ha’aretz  rivela che da giorni gli egiziani stanno negoziando con Hamas per ottenere un cessate il fuoco. Il nuovo ministro dell’Intelligence, Rafat Shehata, tratta per una tregua entro 24/48 ore. Con un annuncio che sembra una minaccia ma potrebbe essere una concessione, il viceministro degli Esteri Danny Ayalon spiegava sabato sera che Hamas ha 24/36 ore di tempo per fermarsi. Poi Israele lancerà la sua offensiva. Forse.

  I rischi politici di un’operazione militare
sono ancora più evidenti dopo il vertice di alto livello del Cairo: il
presidente egiziano Mohamed Morsi, quello turco Erdogan, l’emiro del Qatar
Hamad al-Thani e Khaled Meshaal, il capo politico di Hamas che qualche mese fa
ha spostato il suo quartier generale da Damasco, dove lo proteggeva Bashar
Assad, a Doha nella quale la protezione emirale è più sicura, munifica,
moralmente più accettabile. E’ il peso di un nuovo Medio Oriente in costruzione
che Israele non può ignorare.

  Forse è illusorio pensare che Hamas possa
cambiare. Ma neanche il movimento islamico palestinese può ignorare la
pressione di quel peso. Se esiste una possibilità che Hamas possa finalmente
riconoscere il diritto israeliano di esistere all’interno di un negoziato di
pace rinnovato, è quella messa in campo da Egitto, Turchia e Qatar.

  Nessuno di questi Paesi è anti-israeliano per
principio come la Siria di Assad o l’Iran: l’Egitto firmato ha un trattato di
pace con Israele, la Turchia è stata suo alleato strategico, il Qatar fu tra i
primi ad avviare scambi economici quando si aprì il processo di pace di Oslo. Giudicano
Israele in base ai suoi comportamenti, non per assunto ideologico o religioso.
Come promesso dall’emiro nella sua visita a Gaza il mese scorso, offrendo 400
milioni di dollari, il Qatar ha i mezzi economici per ricostruire Gaza; Egitto
e Turchia la forza per garantire un quadro politico stabile nel quale
riprendere una trattativa di pace.

  Anche se alla fine Israele invadesse di nuovo
Gaza, anche se il numero delle vittime salisse come quattro anni fa, il
vincitore di questa partita è Hamas. Allora come oggi Israele non sradicherebbe
il movimento islamico dalla striscia né riuscirebbe a eliminare la minaccia dei
suoi razzi capaci di arrivare sempre più lontano.

  I leader della regione fanno la coda per
incontrare i suoi capi; è arrivato anche il ministro degli Esteri francese ed è
prevista la visita di Ban Ki-moon; la Lega araba, sabato anche lei in seduta
d’emergenza al Cairo, dopo anni di oblio ha riposto la questione palestinese al
vertice delle sue priorità. Il problema che era stato volutamente congelato, è
tornato a unificare un mondo arabo distratto e diviso.

 E’ amaro che Hamas abbia raggiunto il suo
obiettivo con la violenza, lanciando con premeditazione razzi su Israele. Il
povero Abu Mazen e la sua Autorità palestinese a Ramallah, che avevano scelto
la strada della trattativa, della ricostruzione economica, garantendo intanto sicurezza
a Israele, è completamente scomparso dalla mappa del Medio Oriente. E’ stato
ignorato e vilipeso dal governo di Bibi Netanyahu che ha preferito avere a che
fare con i palestinesi con i quali sa meglio trattare: quelli che sparano . Fra
qualche giorno Abu Mazen ripresenterà alle Nazioni Unite la causa dello Stato
indipendente e, per paradosso, verrà condannato dagli Stati Uniti per la sua
richiesta forse impropria ma pacifica.

 Quello che i leaders di Egitto, Turchia e
Qatar hanno deciso al Cairo, e la Lega ratificato, è la fine del processo di
pace sotto forma di Road Map, Quartetto, Gaza and Jerico first, Oslo I e II,
Area A, B e C, inutili vertici qui e là per il Medio Oriente e di tutti gli
altri parafernalia inventati, organizzati, ritmati nel tempo e alla fine
archiviati dai presidenti degli Stati Uniti e dall’Europa presente come attore
non protagonista. E’ tutto finito. Morto. Ora saranno gli arabi a decidere del
destino palestinese. Se la notizia sia buona o cattiva, lo diranno i prossimi
mesi.

 

 

 

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  • doretta davanzo poli |

    gli articoli di Tramballi sono di volta in volta accusati di essere filo-qualcosa: è un buon segnale di imparzialità

  • Fabio |

    questo Marco a me sembra Odifreddi…

  • rice |

    Pochi mesi fa Israele , per riportare
    a casa un caporale sequestrato
    e tenuto in cella per 5 anni proprio
    dal capo di hamas eliminato , ha liberato in csmbio 1000 prigionieri
    accusati di atti di terrorismo o lancio di razzi.
    Ipotizzare che abbia colpito Jabari
    per fare una guerra e’ un’idea
    che non sarebbe venuta in mente neanche al dott. Goebbels.
    Purtroppo ci sono ancora in giro quelli che leggono” i protocolli dei savi di Sion”

  • Marco |

    E’ male informato dott. Tramballi..non so se anche Lei su pressioni ebraiche è diventato il loro portavoce come i vari Pagliara…..è stato ancora una volta l’entità sionista a provocare la reazione di Hamas uccidendo uno dei suoi capi e altre cinque persone con un assassinio di stato mirato….e il motivo è semplice …provocarne la reazione e sterminarli tutti…come sempre hanno agognato

  • carl |

    Beh, una novità ci sarebbe..
    Il governo ebraico, magari dando ascolto a questo o quello specialista in “immagine”, comunicazione o “marketing politico”, ha tirato fuori dal cilindro un’espressione avente l’aria di essere para-biblica.. Denominando l’operazione “Cloud pillar” che può ricordare la menzione nella Bibbia di una nuvola che (se ben ricordo) nel deserto precedeva il cammino dei foriusciti dall’Egitto..
    Carl

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