Salviamo i nostri marò dai loro ministri

Il Sole-24 Ore, 23/3/2013

 Marò“Mi apparvero visioni di una simile impresa in India, di una lotta valorosa per la libertà. Nella mia mente l’India e l’Italia stranamente si confondevano”. E’ l’annotazione sullo sbarco dei Mille di un giovane e fremente Jawaharlal Nehru, finita la lettura della trilogia di Trevelyan su Garibaldi. Allora studente ad Harrow, Jawaharlal sarebbe diventato il fondatore dell’India contemporanea, il padre di Indira Gandhi e il nonno acquisito di Sonia Gandhi.

  Come ha potuto finire così male fra noi e loro? Come è stato possibile che un governo italiano si rimangiasse la parola data e che uno indiano arrivasse a minacciare il sequestro di un ambasciatore? Non esistono precedenti nella storia della diplomazia. Non, almeno, nelle relazioni fra Paesi civili e democratici.

  La risposta non è in fondo così difficile, per quanto ci riguarda: l’assenza di un governo, cioè di un centro decisionale chiaro e determinato. Cioè di un potere politico. Non è di moda parlare di professionisti della politica, in questi giorni. Ma dicasteri come gli Esteri e la Difesa non sono cariche tecniche: non è necessario che un ministro sia un ambasciatore o un generale, è piuttosto auspicabile che non lo sia.  Occorre un buon politico che ascolta i suoi consiglieri – ambasciatori e generali – tiene conto del comune sentire dell’opinione pubblica e alla fine prende decisioni coerenti, assumendosene la responsabilità. E’ questa la politica in democrazia.

  In questo anno zero dell’Italia repubblicana,
invece, il ministro degli Esteri Giulio Terzi è un ambasciatore e il ministro
della Difesa Giampaolo Di Paola un ammiraglio. Eccellenti professionisti nelle
loro specializzazioni. Mediocri ministri perché privi della visione d’insieme
di un politico.

  Da quando la nave Enrica Lexie ha cambiato
rotta prendendo quella del porto di Kochi – forse anche prima, quando si
ordinarono missioni di quel genere -  c’è
un’assenza di decisioni coerenti e di assunzione di responsabilità. Se ci
soffermiamo per brevità alle ultime, le spiegazioni sono piuttosto
sconcertanti. E’ stato detto, in sostanza, che l’umiliante decisione di un
Governo, uno Stato e un Paese di rimangiarsi la parola data, ordinando ai due
marò di non tornare in India, è stata presa per salvarli da una condanna a
morte. Davvero dopo più di un anno di trattativa la nostra diplomazia non era
stata in grado di ottenere il minimo dalle autorità indiane? Almeno la certezza
di evitare la pena capitale per due soldati italiani in balia della burocrazia,
delle lotte politiche, del caos fra Stati e governo centrale indiani, e in
balia delle incertezze del nostro Governo.

  Oltre alla tardiva garanzia di avere salva la
vita dei due marò, il contrordine è stato dato perché nel confronto fra
vantaggi e svantaggi per il Paese, Terzi e Di Paola avrebbero calcolato che i
secondi sarebbero stati maggiori: contratti cancellati, visti negati,
boicottaggi ad ogni livello e ovunque possibile sulla scena internazionale.
Improvvisamente, cioè, il nostro Governo ha scoperto che l’India è una potenza
emergente, ha forza, dignità e potere; che un interscambio uguale a quello fra
Italia e Polonia (un miliardo e 100 milioni gli indiani, meno di 40 milioni i
polacchi) era un problema più per le nostre imprese che per quelle  indiane.

  La logica diplomatica richiede che in una
crisi di questo genere i due Paesi coinvolti si impegnino in una trattativa
segreta, in un canale negoziale parallelo, in quella che Henry Kissinger
definiva “opacità costruttiva”. Sembra che effettivamente ci fosse. Gli
italiani avrebbero ottenuto dagli indiani la garanzia che in caso di condanna,
i due marò avrebbero scontato la pena nel loro Paese. Non esistono conferme. Ma
se fosse vero, la prima decisione di non farli tornare in India è ancora più
incomprensibile.

  Si dice, ma anche questo non è certo, che
Terzi avesse preso la decisione di lasciare i due marò a casa, pensando al suo
futuro politico in un partito di destra. E che Di Paola avesse ragionato da
militare: nessun ufficiale lascia indietro i suoi uomini sul campo di battaglia.
Ma questo non era un campo di battaglia.

  Questo giornale è sempre stato convinto che
Massimiliano Latorre e Salvatore Girone siano innocenti e che scelte così
importanti non siano state prese da Terzi e Di Paola per ragioni così banali.
Non chiediamo dunque che diano le dimissioni: è un loro problema di coscienza e
di opportunità istituzionale in un Paese in generale smobilitazione. Chiediamo
che qualcuno riporti a casa i nostri ragazzi secondo giustizia e dignità.

Tags:
  • carl |

    Dott.Tramballi che cosa succede? A cosa è dovuto questo Suo prolungato silenzio?
    a) motivi di salute
    b) problematiche lavorative
    c) a)+b) ?
    d) altre ed eventuali?

  • ddp |

    è scomparso il mio commento ed è rimasto solo l’errata corrige

  • ddp |

    errata corrige: “hanno” con l’acca

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