Syriana

6705900-flag-of-syria-national-country-symbol-illustration-wavy-burning-flames-fire    Stati Uniti ed Europa, nella generica accezione di Occidente, devono intervenire per fermare il massacro siriano. Non viene meglio specificato come: bombardando, invadendo, sottraendo risorse a piani di rilancio per l’occupazione, fondi pensione, sistemi sanitari e spread che perseguitano i bilanci nazionali? Oppure paracadutando Madri Teresa di Calcutta che portino pace improvvisa a un popolo obnubilato dalla vendetta?

  Quasi non c’è articolo di giornale, radio o tv dedicato alle cronache siriane che non colpevolizzi il comportamento di chi, taumaturgicamente in un modo o nell’altro, dovrebbe fermare quella guerra. “Le responsabilità dell’Occidente” è diventata una frase fatta giornalistica come “l’asfalto reso viscido dalla pioggia”, “il cadavere riverso in una pozza di sangue” o “gli organi inquirenti indagano”.

  In genere coloro che denunciano l’inattività dell’Occidente sono gli stessi che in caso di intervento ne denuncerebbero il militarismo. Colonialisti il lunedì, quando si aspettano che l’uomo bianco si assuma il fardello dei suoi doveri morali; anticolonialisti il mercoledì quando ne condannano i disegni egemonici.

  Sempre comunque in modo manicheo. Cavaliere bianco contro cavaliere nero come se i conflitti, in particolare quello siriano, non fossero un affare complicatissimo. Qualche tempo fa una lettrice di questo blog commentava che se l’Occidente era intervenuto in Libia e non in Siria, la differenza la faceva il petrolio che la prima possiede e la seconda no. In parte è vero. Ma solo in parte. Non esiste una regola, la politica è l’arte del possibile. Americani ed europei si guardano bene dall’aiutare i dissidenti sauditi, dall’invocare diritti per gli sciiti del Bahrein o più democrazia negli Emirati, per citare alcuni Paesi carichi di fonti energetiche. Se sono intervenuti in Libia, oltre che per gas e greggio, è perché laggiù c’era un’opposizione organizzata e riconoscibile. Un partner da sostenere.

   In Siria no. Non si sa chi comandi o quanti
comandino nel variegato fronte delle opposizioni. Il New York Times (“Citing
U.S. Fears, Arab Allies Fear Limit Syrian Rebel Aid”, di Robert F. Worth da
Riyad) ci spiega che Araba Saudita e Qatar vorrebbero dotare i ribelli di armi
più sofisticate e potenti dei Khalashnikov. Ma gli Stati Uniti si oppongono. Temono
che le armi possano finire in mani sbagliate: le file dei combattenti sono
piene di jihadisti. Gli arabi del Golfo temono il contrario: più dura il
conflitto, più aumenta il rischio dell’infiltrazione di al-Qaeda.

  La più
grande crisi economica dell’Occidente e l’attesa del nuovo presidente americano
(le elezioni Usa garantiscono una specie di tregua internazionale come fossero
i giochi di Olimpia. Tranne che in Siria) sono solo alcune delle ragioni
dell’impasse siriana. Molto prima che Damasco prendesse fuoco,
l’amministrazione Obama aveva incominciato a ridefinire il ruolo americano nel
mondo: esserci senza dominare, è in qualche modo la formula.

 Di tutte le Primavere arabe, la libica è l’unica
nella quale ci sia stato un intervento occidentale, anche se limitato. Tutte le
ribellioni ci hanno colto di sorpresa e, fino alla Siria, i regimi coinvolti
erano tutti alleati dell’Occidente. Senza opporsi, Barack Obama ha seguito la
scia degli avvenimenti, adeguandosi. Fra gli occidentali è stato il primo a
capire che, incubo o sogno che fosse, il risveglio arabo era arabo.

  Più passano le settimane, più la Siria
assomiglia al Libano nella sua guerra civile durata 15 anni, dall’aprile 1975
alla fine del 1990.  Questo l’elenco dei
partecipanti esterni all’agonia libanese: l’Olp di Arafat che aveva fatto del
Sud e dei campi profughi un Fatahland; Israele che è entrato e uscito dal
Libano più volte, l’ultima restandovi per circa 20 anni; i caschi blu dell’Onu,
una Forza d’interposizione araba, una Forza multinazionale (Usa, Francia,
Italia e Gran Bretagna), la Siria che aveva ritrasformato il Libano in una sua provincia;
l’Iran che ha coltivato la comunità sciita, la più povera, per avere una punta
strategica avanzata.

   Il Libano è il Paese dove sono nati gli
attentati suicidi e l’estremismo islamico militarizzato (ma il primo kamikaze
fu un volontario del Partito comunista). Quindici anni sono passati per uscire
da quel caos. Se esiste una forma di instabile convivenza, è soprattutto perché
le 17 confessioni musulmane e cristiane del Libano ricordano l’incubo della
guerra civile.

  La Siria è sempre più simile: quasi tutte le
comunità stanno organizzando la loro autodifesa; i piani e gli inviati Onu si
consumano uno dopo l’altro nel fallimento; la Turchia vuole una zona cuscinetto
al confine siriano come Israele ne voleva una nel Sud del Libano. Interventi
stranieri diretti non ce ne sono ancora. Ma quelli indiretti intasano le strade
secondarie, quelle meno visibili della diplomazia: armi, sostegno logistico e
politico dall’Iran, da Hezbollah, da sauditi e Qatar.  Oltre alla mobilitazione jihadista che vuole trasformare
la Siria nel terzo capitolo della sua rivoluzione, dopo Afghanistan e Iraq.

  Da tutto questo non c’è una via d’uscita che
l’Occidente possa imporre o proporre. Il conflitto non è fra Bashar Assad e
democrazia. E’ tante cose e più di tutte, probabilmente, è la grande guerra fra
sunniti e sciiti della quale l’Occidente non ha responsabilità. In Libano durò
15 anni. In Siria, posto che resti tutto nei suoi confini, potrebbe essere la
guerra dei cent’anni.

 

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  • Gianni |

    Articolo molto interessante, fotografa molto bene il complesso quadro di un paese sostanzialmente allo sbando.
    Angiungerei un’ulteriore complicazione, che solo ora inizia ad essere considerata come tale: la questione curda.
    Proprio sul NYtimes settimana scorsa era uscito un interessante articolo in proposito.
    Personalmente non vedo come i curdi rinuceranno alle loro (piu’ che legittime) aspirazioni – anche considerando che i loro “fratelli” iracheni queste aspirazioni le hanno realizzate.
    Io – fossi curdo – farei lo stesso, specialmente se l’alternativa e’il caos.

  • Antonella |

    Mi dispiace, ma questa volta non sono d’accordo con lei. Al Festival di Internazionale a Ferrara si è parlato di Siria, e Salam Kawakibi, un attivista siriano ha sostenuto che anche gli alawiti sono implicati della rivoluzione, perché anche loro stati perseguitati. L’opposizione è certamente plurale, ma tutti inseguono lo stesso obiettivo: rovesciare il regime di Assad. Purtroppo lo sviluppo recente sta portando la rivolta verso una religiosità sconosciuta all’inizio della rivoluzione. Tant’è che oggi leggiamo slogan “Abbiamo solo te Dio” e prima leggevamo “siamo tutti siriani contro il despotismo” ,. il punto è , come denunciava Salam, che non bisogna commettere l’errore di credere che sia una lotta di fede. di sicuro esiste un problema di sette che complica notevolmente le cose, perché se anche l’occidente volesse cercare un interlocutore, non ne troverebbe uno soltanto, bensì molteplici!

  • doretta davanzo poli |

    sarebbe bello poter vivere sereni perchè tanto non possiamo farci niente

  • mdpanurge |

    @ Carl
    Hai ragione. Hiroshima e Nagasaki hanno anch’esse avuto la natura di veri e propri tests. Infatti non tutti sanno (mentre sarebbe bene e ragionevole saperlo) che le due bombe non erano identiche, Sia per il materiale esplosivo usato (plutonio una e uranio l’altra), sia per il fatto di essere dotate anche di due diversi tipi di congegno (o spoletta che dir si voglia) per generare l’esplosione, o reazione a catena rispettivamente delle masse di plutonio ed uranio.
    In realtà funzionarono (purtroppo) ambedue le versioni. Immaginatevi i salti di gioia e l’entusiasmo alle stelle sia dell’ex piazzista Truman e degli alti papaveri del Pentagono, sia dei tecnici che le avevano realizzate.. Quasi come le scene di entusiasmo che ogni tanto si vedono (ci fanno vedere) nei locali della NASA quando questo o quel progetto non fallisce.
    E per concludere, fate ora uno sforzo di immaginazione ed immaginatevi la realtà terra-terra nelle due città bombardate e i mesi e gli anni che seguirono e che vissero malamente i sopravvissuti.

  • carl |

    Dott.Tramballi lei ha di fatto (verbalmente/giornalisticamente)dipinto un “quadro”.. Che sia di scuola realista/verista, impressionista, ecc. dipenderà dall’opinione di coloro che, transitando per questo blog, osserveranno il suo dipinto..
    Per me quel chè è certo è che non è di scuola “surrealista”..D’altronde il (reso)famoso “Guernica” del Picasso, per il quale tanti dicono di andare in brodo di giuggiole e per il quale sarebbero pronti a pagare una fortuna..Non mi ha mai detto gran chè. E’ stata invece la lettura della cronaca giornalistica delle prove di bombardamento aereo dei velivoli nazisti a redere l’idea di quello che esso aveva rappresentato per gli abitanti-cavie della cittadina in questione.. Chissà se e come Picasso, o qualche altro quotato “geniaccio” del pennello, avrebbero dipinto certi bombardamenti del conflitto 1939-45 ed in particolare quelli “clou” dell’agosto 1945 su Hiroshima e Nagasaki che anch’essi in fondo (seppur non ufficialmente) rappresentarono anche due tests di prova, in tutto e per tutto come il bombardamento di Guernica. Certo,anche dopo Hiroshima e Nagasaki, la tragedia di Guernica rimase ingiusta e mortifera e tuttavia se paragonata a quella subita dalle due città giapponesi, ne uscì comunque ridimensionata.
    Cosa aggiungerei al suo quadretto siriano? Che (chissa?) potrebbe anche finire per fare anticipare lo scoppio della guerra per l’acqua con la Turchia, che ingloba nel suo territorio le fonti dei grandi fiumi mesopotamici (sul percorso dei quali ha già costruito almeno una diga) e che sarebbe forse tentata e magari consigliata di gestire privilegiatamente, e/o di usare o far geopoliticamente leva sulle fonti in questione..
    Peraltro non è la sola area ove l’acqua potabile, o per l’irrigazione, potrebbe diventare oggetto di cruente contese, magari anche di più del petrolio che non si può bere..
    E scusatemi se ho detto un’ovvietà..:o) Anche se ovviamemnte ci sono dei “figli di mercato” che si metterebbero a ridere, sottintendendo che col ricavato della vendita del petrolio si possono far arrivare l’acqua con cui dissetarsi e fare anche la doccia perfino dal Polo Nord.. Ah, cosa non può fare il denaro, sia pure di stampato du carta verde (e col motto del caso..) e/o registrato su di un supporto magnetico.. Per Bacco ! Che progresso, cose da non credere e che nemmeno Jules Verne si immaginò!

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