L’uomo per il quale diceva di essere pronto a uccidere, alla fine lo ha licenziato. L’organismo disciplinare competente del partito ha espulso Julius Malema dall’African National Congress: il giovane ha qualche giorno di tempo per fare appello ma è difficile che la sentenza politica sia revocata.
Per qualsiasi partito al mondo sarebbe imbarazzante avere fra i suoi personaggi di spicco uno come Malema, l’ex capo del movimento giovanile dell’Anc. Cinque anni fa, nello scontro interno alla fine del quale Thabo Mbeki sarebbe stato silurato per fare spazio a Jacob Zuma, Malema aveva appunto annunciato che non avrebbe esitato a uccidere chiunque si fosse opposto al cammino di Zuma verso la presidenza dell’Anc e del Paese. Nella delicata riforma sulla terra che dovrebbe stabilire se, come e quando gli agricoltori bianchi (che fanno funzionare l’agricoltura sudafricana) potrebbero essere sfrattati a favore delle comunità locali, Malema aveva proposto una soluzione rapida: “uccidi il boero”.
Il trentenne così creativo aveva anche una scorciatoia per uscire dalla palustre condizione economica che impedisce al Sudafrica di crescere come gli altri Paesi emergenti: nazionalizzare le miniere. Il suo profilo politico e umano non sarebbe completo senza ricordare che Julius Malema andava alle manifestazioni con la maglietta del Che a incitare alla rivolta razziale. Ma era un rivoluzionario incompiuto: grazie al suo status politico si era fatto dare una carica lucrosa in un’azienda e aveva abitudini da black diamond, come sono chiamati i pochi imprenditori neri di successo cresciuti i dopo la fine dell’apartheid.
Malema sarebbe imbarazzante per ogni forza politica democratica. Lo era ancora di più per il partito di Nelson Mandela la cui eredità morale lentamente si scolorisce come d’inverno la foschia diluisce il tramonto sul Veld, l’altipiano del Nord, altrimenti infuocato. Forse è questa la vera sfortuna del Sudafrica liberato: quella di essere stato liberato da un leader troppo eccezionale per sperare che qualcuno lo possa in qualche modo imitare.
Julius Malema, tuttavia, ha una sua ragion d’essere. Non è un personaggio pittoresco ma, come era già stata Winnie Mandela, il frutto di un sogno incompiuto. Madiba Mandela aveva salvato il Paese dalla guerra civile, imponendo una divisione del lavoro nella costruzione del nuovo Sudafrica: ai neri il potere politico che non avevano mai avuto, ai bianchi quello economico che avevano sempre posseduto. Era la via pragmatica perché progressivamente si attenuassero gli squilibri sociali fra le due comunità. Poi venne Thabo Mbeki che a dispetto del suo curriculum comunista, con Trevor Manuel alle Finanze e Tito Mboweni, il primo nero governatore della Banca centrale, aveva scelto la strada della disciplina fiscale per attirare investimenti e muovere l’economia. Quella sudafricana è la più grande economia del continente e una delle più grandi al mondo. Ma non è mai cresciuta abbastanza per superare l’eredità devastante lasciata dall’apartheid: ai bambini “cafri” non si insegnava matematica perché non serviva al ruolo marginale che avrebbero avuto nella società segregata.
L’economia sudafricana è cresciuta ma non abbastanza per colmare questo spaventoso gap sociale. E’ anche per questo che Jacob Zuma ha messo da parte Mbeki e la sua squadra. Nemmeno quella di Zuma sta funzionando. Anzi, Thabo Mbeki e i suoi un progetto l’avevano. Questi sembrano senza una direzione né carattere morale per esprimere un programma economico coerente. La crescita sudafricana è piatta per le sue necessità e vertiginose continuano ad essere le barriere sociali.
Con una rassegnazione nevrotica, il Sudafrica si sta preparando a dire addio a Madiba. Tutti sanno che accadrà, che è ineluttabile. Ma il solo annuncio del suo ricovero per un’ernia, la settimana scorsa, ha messo in agitazione l’intero Paese, costringendo il governo a imporre una censura sulle notizie che riguardavano la sua salute. Il Sudafrica sa che quando accadrà, si sentirà solo e disorientato. Che il giorno in cui se ne andrà l’uomo più importante del mondo, il Paese più bello diventerà il più triste del mondo.