Siria e dintorni. Dedalo levantino

4360383963_6c184c8163_zLa rapida avanzata delle Primavere arabe d’improvviso ha rallentato. Anzi, si è fermata. Non tanto in Tunisia, Libia ed Egitto dove al contrario, con alti e bassi, fermenti e paure, l’edificazione di un nuovo sistema procede con una certa rapidità: elezioni, commissioni costituzionali, parlamenti che prendono coscienza di se, militari che ridefiniscono il loro ruolo e fratellanze islamiche che si esercitano al realismo del potere, più complicato di quanto garantiva il Corano.

  La Primavera si è invece fermata a Damasco. Come le Fiandre nella Prima guerra mondiale, la Siria ha trasformato il processo in una guerra di posizione. Al posto delle trincee ci sono le confessioni e le etnie: alawiti, sunniti, drusi, cristiani, curdi. Si dice: il regime di Bashar Assad è ormai al punto di non ritorno ma l’altro punto, quello in cui crollerà, non è vicino. Se c’è una ragione di tanta caparbia e sanguinosa resistenza, quella è la natura settaria della Siria.

  I regimi militari e/o polizieschi che in questo mezzo secolo avevano governato le repubbliche arabe (le monarchie hanno storie e legittimità diverse), avevano un solo pregio: il loro laicismo. Tenevano a bada l’aspetto politico dell’Islam, le donne avevano più accesso all’educazione e al mondo del lavoro, nuove categorie sociali spesso impreparate si affermavano. Soprattutto l’elemento confessionale e razziale diventavano meno determinanti.

  L’individuo era privo di libertà ma come avrebbe detto Isaiah Berlin, il grande teorico sociale, tuttavia quelle società congelate avevano una certa dinamica. Le dittature arabe erano come l’Unione Sovietica, della quale Berlin fu un grande studioso, che eliminò le diversità riassunte nel grande impero. Ma si limitò a controllare e congelare fedi, sette, etnie e tribalismi. Non le risolse trovando una formula che armoniosamente le rappresentasse.

  Da quando sono incominciati i moti antiregime, nell’esercito siriano ci sono state molte defezioni. Ma per ora nessun battaglione, nessuna brigata delle potenti forze armate di quel Paese, è passata armi e cannoni dalla parte delle opposizioni. Città intere si ribellano al regime ma altre restano fedeli. I sunniti sono divisi, molti non sono certi di voler abbandonare un regime guidato dalla minoranza alawita degli Assad, una setta sciita. A grande maggioranza, i cristiani sono dalla parte del regime.

  Tutto questo perché più delle libertà del dopo, molti preferiscono l’illiberale stabilità multi confessionale che hanno conosciuto fino ad ora. I bagni di sangue del Libano a Ovest e dell’Iraq a Est della Siria, sono un monito permanente per ogni Paese dal mosaico confessionale o etnico, sul crinale di un cambiamento politico. Non vorrei che questo suonasse come una difesa di un regime che, incapace di modificarsi, spara sulla sua stessa gente. Ma questo è il Levante, il luogo dove l’incontro dei popoli ha prodotto straordinarie esperienze umane, insaziabili interessi e inauditi massacri.

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  • doretta davanzo poli |

    quasi alla fine dell’articolo, come al solito interessantissimo per la ricchezza delle informazioni,sono stata folgorata dalla frase:”A grande maggioranza, i cristiani sono dalla parte del regime”. Oddio, non sarà per questo che si parla così poco della Siria?

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