Ci vorranno settimane per conoscere il risultato chiaro e definitivo delle presidenziali. L’Egitto non è “semplice” come la Tunisia e il Marocco, dove in pochi giorni hanno scrutinato tutto e proclamato il vincitore. Qui gli elettori sono più di 50 milioni; e i militari hanno dettato regole elettorali complicate per controllare le cose: sospettare che alla fine della transizione ambiscano a restare i protagonisti, non è pensare male.
Per quanto lenti siano gli scrutatori e furbi i militari, nessuno potrà sfuggire alla verità che tutti conoscono: gli islamici vinceranno anche in Egitto. Si tratta solo di capire quanto e probabilmente sarà molto più che altrove.
Il primato dell’Islam politico sta diventando in modo sempre più concreto la vera sostanza delle Primavere arabe. Ovunque si voti, vincono; ovunque si spari ancora, preannunciano la loro ineluttabile presenza in quello che verrà. In Tunisia e Marocco sono passate le versioni moderate dei partiti d’ispirazione religiosa. Anche in Egitto i Fratelli musulmani e il loro partito, Giustizia e libertà, hanno speso più di metà della loro campagna elettorale a tranquillizzare gli avversari interni e le ambasciate occidentali che contano al Cairo: lo slogan iniziale “Dio è la soluzione” è stato cambiato in “benessere per tutti”. Generico e rassicurante.
Sentendo tuttavia sempre più forte il profumo della vittoria, dopo aver annunciato che non si sarebbero candidati per più del 50% dei seggi, prima sono passati al 60 e poi, senza fare comunicati stampa, si sono messi in gara in ogni collegio. Avevano anche promesso che non avrebbero candidato nessuno dei loro alle presidenziali di giugno: ma da qui a sei mesi molte cose potrebbero cambiare perché alla fine l’Egitto resterà quello che era: una repubblica presidenziale.
Più che altrove, in questo Paese anche i salafiti avranno un consistente successo elettorale. A loro la politica non interessa: ci sono entrati solo per affermare la necessità della sharia e per modificare l’articolo 2 della Costituzione: l’Islam, per loro, non è la fonte principale delle leggi in un Paese in cui i musulmani sono il 94% della popolazione, ma l’unica ammissibile.
I giovani di Tahir sono tornati in piazza 12 giorni fa – e da lì contano di non muoversi più – per contenere le ambizioni dei militari. In buona parte ci sono riusciti, costringendoli a cambiare i loro programmi. Senza piazza Tahrir non ci sarebbero state le elezioni di lunedì e martedì. Ma è contro i Fratelli musulmani che un’altra eventuale mobilitazione fallirebbe. Perché la fratellanza rappresenta il popolo egiziano più dei militari e degli stessi giovani. Lo stanno dimostrando vincendo elezioni che l’Egitto non ha mai avuto così trasparenti.
Forse è una verità scomoda ma è la verità alla quale ci dobbiamo abituare. Isolare un Paese di queste dimensioni come è stato fatto con Hamas a Gaza, prima di essere un’eventualità al momento remota, sarebbe impensabile. Forse il Medio Oriente che uscirà dalle sue Primavere, sarà anche democratico. Quello che sappiamo per certo è che sarà più islamico di prima. Esiste un precedente negativo in Iran e alcuni positivi in Turchia e Malesia. A priori non esiste una contraddizione fra democrazia e Islam politico.