Alle 4.40 del mattino 80 caccia-bombardieri israeliani colpiscono postazioni e rampe di lancio di Hezbollah, nel Sud del Libano. L’attacco, una ventina di minuti, è seguito da una seconda ondata di 20 aerei. E’ un’operazione preventiva: gli israeliani sostengono di sapere che alle 5 la milizia sciita libanese avrebbe lanciato un grande attacco su Tel Aviv.
Alle 5.30 suonano le sirene in tutto Israele. Alle 6.15 le forze armate annunciano di aver eliminato 150 missili di Hezbollah in volo: 200, precisano poco dopo. Alle 6.59 la milizia libanese sostiene di averne lanciati 320. “La prima fase della risposta” a Israele, aggiunge, è completata, per oggi basta. Fine di un’altra giornata di ordinaria pazzia chiamata “guerra a bassa intensità”.
La “risposta” di Hezbollah a Israele riguarda l’uccisione di uno dei suoi capi, Fuad Shukr, a fine luglio. Era stata la replica israeliana al lancio di razzi di Hezbollah a Majdal Sham, un villaggio druso nel Golan occupato da Israele: erano stati uccisi 12 fra bambini e adolescenti. Quel lancio di razzi era stata la risposta a un altro bombardamento israeliano che vendicava altri missili dal Libano in una infantile disputa di virilità che si perde nel tempo.
Hezbollah sostiene che i suoi attacchi terminerebbero se ci fosse una tregua della guerra a Gaza. Ma gli scontri lungo il confine c’erano anche prima: non si sono mai fermati dalla guerra del 2006, conseguenza dell’occupazione israeliana dal 1982/2000. Quando gli israeliani arrivarono nell’82, Hezbollah non esisteva; quando se ne andarono 18 anni dopo, il movimento sciita era la forza armata poderosa che avrebbe minacciato lo stato ebraico e tenuto in ostaggio il Libano.
La cosa più surreale dopo le due ore e 19 minuti vissute così pericolosamente domenica mattina, sono state le dichiarazioni dei due fronti: siamo pronti a tutto per garantire la sicurezza della nostra gente ma non vogliamo un allargamento del conflitto. Per quanto irresponsabili al punto da rischiarlo pur di avere l’ultimo lancio di razzo, a israeliani ed Hezbollah è tuttavia chiaro il prezzo che pagherebbero. L’Iran minaccia di partecipare ma sta bene attento a non farlo.
Come non ci fosse stata un’alba così pericolosa, domenica i negoziatori israeliani sono partiti per il Cairo dove è in corso l’ennesima trattativa per una tregua a Gaza. C’è anche Hamas. Sebbene Benjamin Netanyahu e Yahya Sinwar, i due leader, non abbiano ancora chiarito a se stessi se a loro sia più conveniente una tregua o una grande guerra. Questa è l’irreale realtà: non credete a chiunque dica di sapere cosa accadrà domattina, fra una settimana o un mese.