Kiev val bene una Bomba

nuke1Preso da tante ansie sanitarie, climatiche, politiche ed economiche, il 3 gennaio il mondo avrebbe dovuto trarre un grande sospiro di sollievo. “Affermiamo che la guerra nucleare non può essere vinta e (dunque) non deve mai essere combattuta”, hanno messo per iscritto i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu nonché cinque potenze nucleari storiche.

Dovendo comunque giustificare l’esistenza di 8mila testate atomiche nel mondo, i cinque hanno spiegato che quelle bombe “devono servire per scopi difensivi, per scoraggiare aggressioni e prevenire la guerra”. Mi viene in mente “Ho visto un re”, cantata da Enzo Jannaci che diceva “ah beh, si beh, dai dai, conta sù…”.

Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia, i firmatari, non si sono inventati nulla di nuovo: hanno solo ribadito la dichiarazione allora molto più pacificamente rivoluzionaria che Ronald Reagan e Mikhail Gorbaciov fecero nel 1985: “Una guerra nucleare non può essere vinta e non deve mai essere combattuta”.

La vera differenza non è tanto che negli arsenali di allora ci fossero 61.662 testate, ma che Reagan e Gorbaciov volessero sinceramente liberarsene. Al vertice di Reykjavik del 1986 arrivarono a un passo da quel risultato. Oggi sta accadendo il contrario: tutti continuano a riarmare. Usa, Russia e ora anche Cina stanno rapidamente modernizzando le loro bombe e le capacità dei missili che le trasportano. Usa e Russia principalmente aggiornano le loro armi, i cinesi le aumentano anche: nella lunga marcia verso la qualifica di superpotenza, sempre più vicina alla meta, Pechino ambisce alla “parità nucleare” con Washington e Mosca che possiedono il 90% delle 8mila testate.

Nonostante la crisi ucraina l’ambasciatore russo all’Onu è stato tra i firmatari della lettera/giuramento. Ma a causa della crisi ucraina altri russi più importanti di lui hanno fatto capire che Mosca potrebbe dispiegare armi nucleari a ridosso dei paesi Nato. Qualche missile anche a Cuba, 150 chilometri dalle coste Usa oltre lo stretto della Florida. Ci avevano già provato Nikita Khrushchev e Fidel Castro nel 1962 e quello fu il momento più vicino a una guerra termonucleare nella storia umana.

Della modernizzazione militare cinese e russa non sappiamo nulla o quasi, a parte gli annunci quando lanciano il razzo iper-veloce-più-veloce-della-luce. Quella americana è un po’ più trasparente. Alla fine del suo mandato Barack Obama fu costretto dalle pressioni del Pentagono e dei repubblicani ad approvare un investimento trentennale da 1,2mila miliardi di dollari che smentiva le promesse di riduzione del nucleare. Ma il limite più grave degli americani è la “first use ambiguity”, la mancanza di chiarezza sull’impegno a non usare per primi la bomba in caso di conflitto. Entro febbraio Joe Biden dovrebbe presentare la sua riforma alla “postura nucleare” Usa: rifiuto di usare per primi l’arma e riduzione del ruolo dell’atomica nella strategia militare nazionale. Ma, ancora, il Pentagono insiste per mantenere ambiguità e aggressività della postura ora in vigore: lo richiederebbero la minaccia cinese e russa, mai così alta.

L’ex senatore democratico Sam Nunn, protagonista della distensione nucleare negli anni ’80 e ’90, già due anni fa scriveva che “Stati Uniti e Russia sono in uno stato d’instabilità strategica”. La minaccia di un’invasione dell’Ucraina ha ulteriormente aggravato lo stato delle cose.

Nei momenti più rilassati della Guerra Fredda – finita la crisi di Cuba del ’62, in realtà più lunghi di quelli problematici – i negoziatori s’incontravano a New York, Ginevra, Vienna. Ai tempi di Sam Nunn c’era il reciproco riconoscimento degli interessi vitali, le linee rosse da non superare erano chiare, i mezzi per ridurre il rischio d’incidenti sperimentati.

Il lungo cammino della riduzione degli armamenti mostra invece un quadro progressivamente allarmante. Nel 2002 gli Usa rompono il trattato sul bando dei missili anti-missili strategici (firmato nel 1972); nel 2007 la Russia sospende il trattato sulle forze convenzionali in Europa (1990); nel 2019 Washington si ritira dagli accordi sulla riduzione delle forze nucleari di media gittata (1987); dopo molte fatiche il New Start, il trattato del 2010 sulla riduzione delle armi strategiche è stato rinnovato per altri cinque anni: ma i missili strategici – quelli che volano da un continente a un altro oltre l’atmosfera – sono stati superati da strumenti più piccoli, agili, veloci ed efficaci.

La distensione nucleare non esiste più, russi e americani non hanno più credibili canali di comunicazione. E in Europa è in corso una crisi politica e militare come non si vedeva dalla II Guerra Mondiale. A Stati Uniti e Russia è rimasto un solo primato positivo: sono gli unici due paesi di una certa importanza geopolitica a non essersi mai scontrati in un conflitto: a parte la Guerra Fredda. “Parigi val bene una messa” ammise l’ugonotto Enrico IV, convertitosi al cattolicesimo per diventare re di Francia. Ancora non sappiamo fino a qual punto Vladimir Putin intenda arrivare per avere Kiev.

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  • Jerilyn Leeper |

    La minaccia di un’invasione dell’Ucraina ha ulteriormente aggravato lo stato delle cose. friday night funkin mod

  • Sol Kuhn |

    La minaccia di un’invasione dell’Ucraina ha ulteriormente aggravato lo stato delle cose. trentnora1563@gmail.com mod

  • habsb |

    Le minacce russe all’Ucraina sono molto interessanti, perché è la prima volta (se si esclude l’Afganistan che era più che altro un’impresa colonialista) che il fascismo russo contempla l’espansione del proprio “Lebensraum” o spazio vitale.
    Certo l’Ossezia, il Donbass, ma sono piccole realtà comunque russofone.
    Ma una bella invasione di un altro popolo vicino, non arretrato come gli afgani ma di uguale forza, come furono quella giacobina ai danni dell’Austria, o quella hitleriana a spese della Polonia, il fascismo russo non ce l’aveva ancora proposta.
    Forse Putin sente che è il momento buono, finché ha in faccia un leader dell’Occidente affetto da demenza senile, e una Germania più sinistrorsa e meno russofoba di quella di Merkel.
    Di sicuro né gli europei né gli americani sono pronti a morire per Kiev.
    L’impresa puo’ quindi riuscire, tuttalpiù vi sara qualche sanzione economica che non scalfirà certo la fortuna personale del dittatore che si dice plurimiliardario. E che passerebbe alla storia come il condottiero che ha riportato Kiev sotto il tallone russo
    Putin ha oramai 70 anni. Adesso o mai più

  • carl |

    Se, per pura ipotesi, mi trovassi nel bel mezzo di un “brain storming” all’interno di questo o quel pensatoio di geopolitica e dintorni..Beh, alzerei la mano in modalità tutt’altro che “Heil!”, bensì alla “peace & love”..:O) e inviterei a considerare attentamente che
    a) nel più folto dell’ipotizzata invasione o incursione potrebbe accadere che un missile, un obice o un aereomobile cadessero sopra una delle 4/5 centrali nucleari attive in Ucraina. Ovviamente nessuno lo vorrebbe, ma…
    b) più che su di un ipotetico dispiegamento missilistico russo a ridosso dell’euro-NATO (perchè c’è l’euro NATO formata dagli euro-associati e quella d’oltreoceano (sede del relativo CdA) e/o perfino di nuovo nei Caraibi.. E aggiungerei che questo secondo tipo di dispiegamento è assai poco credibile dato che corrisponderebbe ad un più che evidente indice di “sprovvedutezza”, dato che i russi dispongono di veri e propri branchi di sottomarini nucleari carichi di missili nucleari e che in navigazione rimangono tutt’ora per lo più invisibili e non localizzabili.
    Avevo già sentito parlare del NFU (NO FIRST USE) delle arminucleari, ma non della della FIRST USE AMBIGUITY citata nell’articolo, ossia di un disimpegno USA/Pentagon in merito al NFU, insomma libertà di eventualmente procedere arbitrariamente ad un primo uso del nucleare bellico… Che in realtà, cioè storicamente, sarebbe un secondo uso..No?

  • Renzo |

    Kiev prepara il contorno dichiarandosi vittima mentre vuole riprendersi il Donbass con la forza militare. Perdera’ e il Donbass autonomista si allarghera’ .
    Avrebbe fatto meglio a riconoscergli l’autonomia pur mantenendo il Donbass in Ucraina.

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