Immaginatevi quanto avrebbero scritto i nostri giornali se a Tunisi avessero imposto il velo a tutte le donne, chiudendole in casa. Pensate poi che sollevazione di scudi se la Tunisia si fosse data la sharia più rigida. Pagine di commenti, di interviste a leghisti, grillini, fratelli italiani.
Invece in Tunisia è accaduto il contrario e nessuno di noi ha scritto una riga né politico italiano ha proferito commento. Con l’eccezione dell’ormai mitologico Bernardo Valli su Repubblica. Dopo un lungo dibattito a volte violento, a volte drammatico sotto la pressione degli islamisti più estremi, dal 26 gennaio la Tunisia ha finalmente la sua nuova Costituzione. Diversamente dai corrispettivi egiziani, i Fratelli musulmani locali – il partito Ennahda che aveva stravinto le prime libere elezioni – hanno deciso di essere inclusivi: di non governare da soli e di non scriversi con il contributo di un paio di sheikh, la loro costituzione islamica.
Avviata la Primavera e cacciato il tiranno, i tunisini avevano deciso d’incominciare a costruire la loro casa dalle fondamenta: prima di un parlamento, avevano deciso di eleggere un’assemblea costituente che avrebbe fissato le regole del gioco politico. La cosa non è così ovvia. In Egitto hanno incominciato dal tetto, eleggendo prima un parlamento e un presidente, poi provando a scrivere una nuova Costituzione (due in un anno). Come è andata la storia, è noto. In Libia e Siria hanno deciso d’incominciare subito a sparare e ancora non hanno smesso.
Resistendo alla tentazione di fare da solo come la fratellanza egiziana, alla fine Ennahda ha ammesso importanti concessioni sulla protezione dei diritti delle donne, sulla libertà di espressione e di religione. L’articolo 20 è storico per un Paese arabo: uomini e donne hanno “uguali diritti e doveri”. L’articolo 45 rafforza questa uguaglianza stabilendo che alle prossime elezioni il 50% dei candidati dovrà essere donna. Già nell’assemblea costituente le donne erano 65 su 217; e 41 su 90 del gruppo di Ennahda.
La Tunisia ha una storia e ragioni che hanno permesso questo successo di modernizzazione. Nel 1956 Habib Bourghiba, le Combattant Suprème come lo chiamava la retorica del tempo, aveva già imposto una serie di leggi sullo “Status Personale” che tra l’altro concedeva alle donne il diritto di voto e quello di divorziare.
I problemi non sono tutti risolti. E’ ancora aperto il dibattito sul takfir, la dichiarazione di apostasia di un musulmano contro un altro musulmano. E’ un fondamento islamico ma i salafiti lo hanno trasformato in un’intimidazione politica verso gli avversari laici: è un’accusa d’infedeltà che può costare la morte. L’opinione che si diffonde è di mettere fuori legge la pratica del takfir. Ma non sarà così facile.
Il successo nella piccola Tunisia non dimostra che le Primavere stanno vincendo in Medio Oriente. Anche se, per onestà intellettuale, quelli che vomitano insulti sugli arabi riguardo alla loro incapacità di costruire democrazia, avrebbero potuto registrare questa piccola vittoria.
Il problema è che, appunto, la piccola Tunisia già avviata 50 anni fa al laicismo e senza forze armate potenti e arroganti, non ha la forza d’influenzare Egitto e Siria. La sua costituzione così moderna e laica non riuscirà a smuovere di un centimetro nemmeno la cricca militar-socialista e cleptocratica della vicina Algeria.
C’è tuttavia qualcosa che noi europei e americani potremmo fare per rendere la Tunisia un esempio per tutto il Medio Oriente. Premiare economicamente i suoi sforzi di modernità e democrazia, aiutarla a rafforzare quelle regole che si è data in una costituzione moderna. Convogliare gli investimenti su questo piccolo Paese, cancellare il suo debito, partecipare ai programmi di sviluppo sociale, andarci in vacanza.
Burghiba ormai quasi incapace d’intendere, hanno dovuto rimuoverlo con un golpe umanitario; il successore Ben Ali era un uomo corrotto. Ma entrambi hanno riempito il Paese di scuole e università. Diversamente dai Paesi vicini con un bassissimo tasso di alfabetizzazione, non deve essere così difficile aiutare il decollo economico della Tunisia. Facendolo mostreremmo agli altri Paesi che riformare paga davvero.