Governo d’Israele. O l’illusione della normalità

L43-netanyahu-130202195839_mediumUsando fin quasi l’ultima ora dei circa due mesi concessi dalla legge al negoziato, Bibi Netanyahu è riuscito a formare il suo nuovo governo. Il giuramento è previsto per lunedì. Senza uno solo dei diversi partiti religiosi, sarà uno dei pochi esecutivi veramente laici della Storia d’Israele e difficilmente catalogabile sul piano politico-ideologico: probabilmente di destra-centro.

 Esteri e Difesa resteranno al cartello di destra Likud-Beiteinu; Tzipi Livni, leader di un nuovo e piccolo partito di centro, avrà la Giustizia e, curiosamente, anche la gestione del processo di pace con i palestinesi (concessa da Bibi solo perché non esiste un processo di pace); Industria ed edilizia a Naftali Bennett, l’ultra-nazionalista di origini americane, colono e protettore dei coloni; le Finanze vanno a Yair Lapid, ex giornalista televisivo di successo, il vero vincitore delle elezioni di gennaio, che per partecipare aveva preteso un governo laico senza gli haredim, i timorati di Dio; un esecutivo più agile con dieci ministeri meno i quello uscente e con soli sei vice-ministri, il controllo delle spese nel bilancio nazionale.

  In effetti erano stati questi di Lapid i grandi temi della campagna elettorale di gennaio e della successiva lunga trattativa per la formazione di un governo, insieme al solito mercato delle poltrone. Come era accaduto durante il voto e ora per la creazione del nuovo esecutivo, infatti, c’erano due grandi aspettative: quella di Israele che è stata sostanzialmente attesa e quella del resto del mondo, completamente ignorata.

  Gli israeliani volevano modernità, riforme sociali, un sistema politico rinnovato, uguaglianza sui diritti e anche sui doveri dei cittadini: cioè che anche i giovani ultra-ortodossi fossero inseriti nella leva militare obbligatoria che in Israele dura tre anni. Yair Lapid è il garante di questi cambiamenti. Ma quando Israele cerca a tutti i costi di presentarsi come un Paese simile a qualsiasi altro occidentale, è una via di mezzo fra una disperata illusione e una truffa.

   Israele non è un Paese normale: è una
democrazia che da quasi mezzo secolo occupa un territorio non suo. Ne ruba le
risorse idriche e agricole, ne impedisce un normale sviluppo economico, ne
reprime la popolazione. Poiché una democrazia fatica a riconoscersi in questa
descrizione, nella sua quotidianità Israele assume atteggiamenti sempre più
illiberali e razzisti: gli autobus riservati ai palestinesi, gli arabi
insultati e picchiati per strada da giovani educati a pensare che sia legittimo
farlo, le spedizioni punitive dei coloni nei villaggi.

  L’assenza di un dibattito vero sulle
soluzioni del conflitto è un dramma per gli occupati ma è un tremendo pericolo
per gli occupanti.  Tuttavia gli
israeliani continuano ad agire come se la questione palestinese non sia una
questione che riguarda profondamente il loro futuro. Il voto alle Nazioni Unite
a novembre, il sostegno quasi plebiscitario della comunità internazionale a
favore di uno Stato palestinese non hanno provocato alcuna riflessione: solo
l’errata convinzione che Israele viva in un oceano di antisemitismo. 

  Per
questo sia la campagna elettorale che la formazione del nuovo governo non
rispondono alle aspettative del resto del mondo. Non ha importanza che al ministro
della Giustizia Tzipi Livni sia affidato il compito di seguire un processo di
pace che non esiste. Né che il ministro delle Finanze Lapid dica che una
ripresa del dialogo prima o poi dovrà pur esserci.

  Tutti i ministeri fondamentali riguardo alla
questione che determinerà il futuro d’Israele più della naja per gli haredim,
sono controllati dalle destre e da personalità la cui soluzione del problema è
portare a un milione i coloni nei Territori occupati. Gli Esteri, la Difesa, la
Sicurezza interna, l’Edilizia, l’Educazione ed evidentemente il Primo ministro.
La settimana prossima Bibi Netanyahu potrà accogliere Barack Obama alla guida
di un governo dalla solida maggioranza parlamentare e più in controllo che mai.
Se il presidente americano si azzarderà a ricordare la noiosa questione
palestinese, non troverà interlocutori disposti ad ascoltarlo seriamente. 

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  • Marco |

    Maurizio Blondet è ancora vivo e continua a raccontarci squarci di verità giornalistica nel mare magnum dei giornalisti prezzolati di questo paese…il suo sito è http://www.effedieffe.com. Saluti

  • tontoperonotanto |

    @ Marco
    Cavolate a parte, Lei dice che il Blondet sarebbe ancora vivo..?? Ricordo che una delle ultime occasioni che vidi un suo articolo parlava del cosiddetto “réseau Voltaire” sul 9/11..

  • sergio vitale |

    Ma non dice che è errata la convinzione che Israele viva in un oceano di antisemitismo?
    Sarà pur vero, ma le ondate che arrivano assomigliano tanto ad uno tsunami!

  • Marco |

    Bravo, bene, bis ! Finalmente un giornalista con le palle fuori dal politicamente corretto! Le, Blondet e Angela Lano siete i miei preferiti….stia attento però perchè Lei è nella black list dei terroristi giudei..Legga il commento nel delirante sito http://www.informazionecorretta.com. Un cordiale e caro saluto

  • vermeer |

    HAREDIM..An old and exotic word, indeed..
    So, “Haredim” in english should be translated as “those who fear God”, isn’t?
    But, as you confirm, the majority of hebrew people is no longer haredim but “god and fearless”.., at least since they have in stock a hundred of atomic bombs and a lot of us dollars..
    Is my short analysis geo-politically correct?

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