C’è chi si ricarica andando in montagna a respirare aria buona. E chi, dopo tanto masticare conflitti, divisioni mediorientali, Brics in crisi ed euro in picchiata che impoverisce noi e affama i poveri veri del mondo, ha bisogno di rilassarsi in una breve vacanza fra gli ideali. Quale miglior spirito di quello olimpico? Per questo sono in vacanza a Londra e non a Madesimo.
Non è il doping di un atleta che ha rovinato quello spirito. Qui a Londra si respira una bella aria di festa, sembra quasi non esistano più i conflitti, come nell’antichità. Non è così in realtà, non accadeva veramente nemmeno ai tempi dei greci. E’ che qui siamo noi umani a ritagliarci una pausa illusoria, assistendo alle mirabili gesta di tanti atleti: cioè di tanti episodi di varia e positiva umanità nella quale sogniamo di riconoscerci. A Londra hanno fatto belle cose: un understatement efficiente, lontanissimo dal greve nazional-populismo cinese delle Olimpiadi di quattro anni fa.
Se sei italiano e vai alle Olimpiadi non puoi evitare di andare a Casa Italia. Non so come chiamarla: il momentaneo buen retiro tricolore per chi è all’estero, il rifugio, la vetrina sul mondo del Paese più bello e accogliente del mondo. Edificio moderno ma non brutto, fantastica location: davanti all’abazia di Westminster, vicino al Parlamento e a un passo dal monumento a Nelson Mandela.
Eppure, andandoci, ho avuto l’antipatica sensazione che sia una casa accogliente per i soliti privilegiati, non per tutti. I non accreditati come me hanno poco da vedere dentro Casa Italia, tranne una bella serie di foto d’epoca del Centro Sportivo Fiat. Nella casa del Paese che nutre con stile il mondo, non c’è bar né ristorante: solo un assaggio di vini italiani, alcuni dei quali non fra i migliori.
C’è però un auditorium per vedere i giochi sul maxischermo. Mercoledì ci hanno buttato fuori alla fine del primo tempo di Italia-Ungheria di pallanuoto, erano sul 2 a 2, perché dovevano provare il pianoforte del concerto serale di Francesco Renga. “Stiamo giocando all’altezza dei maestri ungheresi, campioni olimpici uscenti”, diceva l’inesperto telecronista di Sky. Come “maestri ungheresi”!? E noi italiani che abbiamo vinto tre volte l’oro (1948, ’60 e 92’) e siamo i campioni mondiali uscenti, cosa siamo?
Non per fare l’anti-italiano – ho lavorato 15 anni con Montanelli e so che giornalisticamente non potrei mai arrivare alle sue ginocchia – ho fatto un giro nelle altre case: Club France, Beit Qatar, Casa Brasil, Austria, Svizzera. Sono molti ormai quelli che ne hanno aperta una. I qatarini offrono tutto gratis: ma loro sono ricchi, vendono gas. Gli altri hanno ristoranti della loro cucina, bar, attrazioni e si fanno pagare.
A Club France – maledetti francesi – costa 5 euro per entrare e poi si paga ancora per mangiare e bere prodotti loro. Nonostante sia apparentemente così caro, fuori hanno sempre la coda e non solo di francesi. Soprattutto di non francesi. Così austriaci e svizzeri, in un trionfo di birre e salsicce. Uno straniero ci va, assaggia, vede che sono tutti allegri e magari pensa che sia una buona idea farci un salto nel Paese di quella Casa, l’anno prossimo in vacanza.
Si paga quasi dappertutto, da alcuni poco, da altri di più ma si paga. Da noi invece è gratis: ma in cambio non si ha nulla, nemmeno il bar per un cappuccino.
Un ristorantone italiano in realtà c’è ai piani alti: mi dicono che si mangi anche divinamente. Ogni tanto uno dei nostri grandi chef viene a mostrare la perfezione della cucina già più grande del mondo. E, incredibile, è gratis. Ma è aperto solo per gli “accreditati”: i giornalisti, gli sponsor e i loro ospiti. Non ci possono entrare nemmeno i giovani italiani volontari, efficienti e sempre sorridenti giù, nei quasi spogli piani per gli altri. Lo sponsor ha regalato loro un buono giornaliero da McDonald, sponsor olimpico: 20 giorni di hamburgers e patatine perché diventino ciccioni come americani. Anche le serate disco sono gratis. Ma a inviti.
Non abbiate paura: se conoscete un giornalista, uno sponsor, un atleta, la famiglia di un atleta, un funzionario del Coni, delle Finanze, un monsignore, non è difficile avere un invito. Basta dimostrare di appartenere anche alla lontana al pletorico club de noantri.
Per questo Casa Italia di Londra è una vera Casa Italia: noi che contiamo, gratis; voi che non siete nulla, per parafrasare il Marchese del Grillo, niente. Forse è anche per questo che a Casa Italia ci vanno solo gli italiani e all’ingresso non c’è mai coda. Non è un obbligo istituzionale del Coni e dei suoi sponsor vendere il marchio Italia all’estero: Ice, Camere di commercio, associazioni di categoria già si sforzano di farlo. Ma se sei alle Olimpiadi, fai sempre la tua bella figura di medaglie e ora che c’è Monti per gli stranieri anche la politica italiana sembra una cosa seria, perché non approfittarne e rendere Casa Italia una casa di tutti? Italiani senza parenti, svizzeri, brasiliani, inglesi, coreani. Perfino francesi che ci detestano eppur ci amano: proprio come noi con loro.
I giornalisti che frequentano Olimpiadi e mondiali di calcio mi dicono che gli italiani sono stati i primi a inventare l’idea della Casa nazionale. Se è così, è finita come con il capuccino e l’espresso: noi li abbiamo creati, poi Starbucks al Market Spice di Seattle, si è preso l’idea e ne ha fatto un business mondiale.
Ps: Prezzi della giacca/tuta in vendita nelle case nazionali:
1) Nazionale Italiana nell’emporio Armani, secondo piano Casa Italia: 267 sterline (beh, è Armani, cosa pretendete?)
2) Nazionale francese, 100 sterline.
3) Nazionale Svizzera, 94.