Natale in Bangladesh (non è un cinepanettone)

P1010598  “Nella storia del mondo non c’è mai stata carestia in una democrazia funzionale”, scrive Amartya Sen. Perché la fame non è causa della mancanza di produzione di cibo ma della sua gestione, della distribuzione, di politiche che non permettono ai prodotti di accedere ai mercati.

   Parliamo di fame anche se non è un tema natalizio. Sono stato invitato in Bangladesh dall’Ifad, il Fondo dell’Onu che finanzia lo sviluppo agricolo e da Thomson Reuters Foundation. Con un collega giapponese ho tenuto una lezione a un gruppo di giovani giornalisti venuti da diversi Paesi asiatici. Il tema era come costruire un buon articolo sulla povertà rurale: cioè come vendere ai lettori una storia ostica. Era sottinteso che dovessi spiegare come prima si deve convincere un direttore, a ogni latitudine scarsamente entusiasta per tematiche che non portano inserzionisti.

  Ho spiegato che bisognava raccogliere con cura dati e statistiche, verificandone le fonti. Ma che per rendere “sexy” un reportage, perché non lo legga solo il funzionario Onu e l’esperto di agricoltura, e arrivi al lettore comune amplificando l’impatto sulle organizzazioni e i governi che hanno le responsabilità, la cosa migliore è andare sul campo. “Sporcarsi le mani”, ho detto, indulgendo nella retorica da inviato: fa sempre colpo. Bisognava, insomma, metterci i volti e i nomi delle vittime, di chi lavora per alleviarne le sofferenze, di chi ne impedisce lo sviluppo. Per essere credibili ed efficaci occorreva vedere e raccontare la realtà descritta dalle statistiche.

  Mentre parlavo così compreso nella mia funzione didattica, mi sono chiesto se oggi io sarei in grado di convincere il mio direttore a pubblicare un reportage sulla povertà rurale in un Paese lontano dall’Italia; se oggi sarei capace di conquistarmi lo spazio in pagina per una storia sulla fame degli altri che è sempre più vera della nostra. Mi sono risposto di no, che in tempi di spread e governo dei tecnici non sarei riuscito a vendere un reportage sul Bangladesh. Ascoltando la mia stessa voce, mi sono sentito un baro verso i miei studenti occasionali: parlavo da dio – vi assicuro, ero davvero convincente – e razzolavo da far schifo.

  Eppure il Bangladesh è un Paese interessante. E’ la prova della bontà delle tesi di Amartya Sen su fame e assenza di democrazia. La carestia del 1943 (forse 4 milioni di morti) fu provocata dagli amministratori inglesi che dirottarono in altre regioni dell’impero la produzione del Bengala. Winston Churchill che detestava Gandhi, mandò da Londra un cablo per chiedere perché, se il cibo era così scarso, non fosse morto anche quel “fachiro seminudo”. A provocare la seconda carestia del 1974 (1,5 milioni di morti) era stata la devastante guerra d’indipendenza di due anni prima e la corruzione dei militari al potere.

  Oggi il Bangladesh è un po’ più democratico, i militari hanno fatto un paio di passi indietro; il 31% della popolazione, 50 milioni di persone, vive con meno di un dollaro al giorno. Ma ogni anno l’1% esce da quella fascia di estrema povertà; l’economia cresce del 7% e si diversifica dando allo sviluppo industriale una priorità: il 70% della popolazione vive nelle aree rurali. Per le organizzazioni internazionali il Bangladesh è una storia di successo perché crescere è sempre un processo molto più lento dell’impoverirsi. Tuttavia due terzi del Paese è a cinque metri sotto il livello del mare: due gradi di temperatura terrestre in più, causata dai mutamenti climatici, sarebbero disastrosi.

  Ecco, sono riuscito a parlarvi di Bangladesh. Lo dovevo ai miei giovani colleghi asiatici e a tutti noi: per dare al nostro Natale di recessione la giusta misura di gravità.

  

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  • Claudio C, |

    Caro Ugo la prossima volta vengo con te così vicino ad un articolo che nessuno vorrà pubblicare, aggiungiamo anche un filmato che nessuna televisione vorrà mai mandare in onda.
    A presto

  • doretta davanzo poli |

    Molto molto interessante,come al solito ben scritto: si legge d’un fiato. Grazie

  • MARCO MARCHISIO |

    Da quando c’è Monti al governo sto cercando di rispondermi alla domanda: in Italia chi sono i ricchi e chi sono i poveri? I ricchi sono tutti quelli che stanno meglio di me? I poveri tutti quelli che stanno peggio di me? Se vivessi in Bangladesh, dove mi collocherei se 50 milioni di persone vivono -dico- “vivono” con meno di 1 $ al giorno? Da le vertigini immaginare di stare sopra una piramide di 50 milioni di persone (e sono solo il 31% della popolazione!) Forse dovremmo riflettere un po’ di più sul nostro concetto di ricchezza/povertà. Buon Natale.

  • Stefano Aversa |

    Caro Ugo,
    ti sbagli, il tuo articolo e’ su un tema strettamente Natalizio: la dignita’ della poverta’, la fame e la sofferenza e’ una delle ragioni principali ragioni per cui Gesu’ e’ venuto al mondo…per Natale appunto.
    Grazie per averci ricordato questo tema da cronista attento e sincero.
    Buon Natale
    Stefano

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