Per i comportamenti illiberali del presidente, per l’indefessa battaglia dedicata a indebolire il sistema di alleanze e il multilateralismo sul quale l’America ha costruito la sua potenza globale, Donald Trump è un asset strategico per Cina e Russia quanto il petrolio, i commerci e gli arsenali nucleari. Riprendo dalla sua fine il commento pubblicato mercoledì scorso dal Sole 24 Ore (lo allego alla fine del post).
Mi interessa più la Cina della Russia. Vladimir Putin è abile. Meno di quattro anni fa con le sue “Brigate del web” era riuscito a mettere nello studio ovale della Casa Bianca il suo inconsapevole agente provocatore. Ma Covid e prezzi del petrolio stanno consumando la sua fragile economia; e il Levante mediorientale (Israele compreso) la sua lucidità geopolitica.
L’arma della potenza cinese è invece l’economia. L’Ungheria socialista era obbligata ad aderire al Patto di Varsavia dalla minaccia delle armi sovietiche; quella di Viktor Orbàn si apre entusiasta agli investimenti cinesi e ai condizionamenti che seguono tanta munificenza. Anno dopo anno la Cina potenzia sempre più gli armamenti e nel segreto assoluto anche il suo arsenale nucleare. Ma la lenta ricostruzione del suo impero è iniziata dalle fondamenta: ha sconfitto la fame (esiste un diritto umano più potente di questo?), abbattuto povertà e disoccupazione, edificato metropoli, industrie tradizionali e avveniristiche, garantito benessere. E ora anche i cinesi credono di appartenere, come gli americani, a una “nazione indispensabile”, pretendendo che gli altri riconoscano questa qualità.
Il confronto sempre più evidente fra Stati Uniti e Cina ricorda quello raccontato nel 1980 dallo storico Paul Kennedy in “The Rise of the Anglo-German Antagonism: 1860-1914”. La Gran Bretagna era la potenza sempre più affaticata ma ancora il cuore della democrazia e del libero mercato; la Germania imperiale era autocratica e la sua economia protetta dallo stato, ma la produzione d’acciaio aveva superato quella inglese e i suoi cantieri navali sfornavano corazzate che sfidavano il dominio britannico sugli oceani. Anche allora il mondo era globalizzato e le tecnologie rivoluzionavano l’industria. Il re a Londra e il Kaiser a Berlino erano per di più cugini, cresciuti insieme all’ombra della nonna, la regina Vittoria. Ciononostante, nel 1914 scoppiò l’inferno e dal 1939 al ’45 ci fu un seguito, un inferno peggiore.
Questo vuol dire che nel XXI secolo una guerra fra Stati Uniti e Cina sarà inevitabile? L’ipotesi è troppo pessimistica, sebbene Hong Kong e ancor più Taiwan siano pericolosi punti d’attrito. Intanto però, alla Casa Bianca c’è Donald Trump che con il proposito infantile di rendere l’America più forte che mai, la sta indebolendo. Con l’idea di agevolare la sua rielezione, il presidente fomenta nel paese una specie di sindrome dell’assedio di un mondo ostile agli Stati Uniti (in realtà un’ostilità c’è ma è verso di lui). La stessa sindrome d’accerchiamento che in Cina alimenta Xi Jinping.
Apparentemente i cinesi dovrebbero preferire Joe Biden. Se fosse eletto, al corpo a corpo sul commercio e su tutto il resto, il democratico cercherebbe il dialogo. Credo invece che a Xi serva la rissa con Trump. (Sto mettendo a rischio la mia eventuale credibilità: ho già irresponsabilmente sostenuto che Bibi Netanyahu non annetterà la Cisgiordania). “Sleeping Joe”, come Trump chiama Biden, cercherebbe di riportare la calma nella società americana, di ricompattarla attorno al rispetto della Costituzione. Solo Roma era dilaniata dalle guerre civili e contemporaneamente allargava l’impero. Gli altri no. Per affermare la forza, le grandi potenze hanno bisogno di coesione interna: condivisa o imposta da un regime.
Abbiate pazienza, l’America tornerà a essere quella di prima, era stato il senso del discorso di Biden alla Conferenza di Monaco di Baviera sulla sicurezza, l’anno scorso. E’ un programma elettorale: l’America di nuovo garante della sicurezza degli alleati europei e asiatici. Non è il mondo che Xi né Putin vogliono rivedere, dopo tanta fatica per indebolire e dividere il fronte democratico. La lotta libera con Trump sul commercio, per la Cina è il pretesto per continuare a violare le regole del Wto, per rivendicare l’apertura dei mercati occidentali mantenendo chiusi i suoi. Un’America incapace di affrontare le sue ingiustizie razziali, è un difensore ipocrita delle libertà di Hong Kong.
Biden presidente che propone di parlare e negoziare costringerebbe la Cina ad accettare il dialogo. Se non lo facesse, ci convinceremmo che i suoi piani sono più simili alle ambizioni di Stalin che a quelli di una potenza moderna e indispensabile.
Allego l’articolo del Sole, uscito mercoledì.