Da Kim Jong-il a Kim Jong-un, la transizione sembra cosa fatta. Ma il passaggio fra la determinatezza e l’indeterminatezza di due articoli, il e un, è solo una delle ipotesi. Il futuro Nord-coreano è molto più aperto: spazia da una ripresa della guerra di Corea (tecnicamente Nord da una parte, Sud e Stati Uniti dall’altra 60 anni dopo sono ancora nemici) a un disgelo e una democratizzazione del regime di Pyongyang.
Perché nessuno sa veramente quali siano le forze e quale la posta in gioco nel Nord della penisola, oltre la cortina d’acciaio del regime. La lettura di quel che dicono gli esperti è illuminante nella sua fumosità. Ricordano i grandi cremlinologi della fine degli anni ’80. Tutti sparavano la loro e molti cercavano di spararla più grossa. Ma nessuno ha mai anticipato che l’Ucraina si sarebbe separata dall’Urss e che l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche si sarebbe dissolta. Molti sostenevano che Gorbaciov sarebbe finito male ma non che anche il comunismo sarebbe finito. Per questo bisogna sempre prendere come spunto di riflessione e non per oro colato tutto quello che dicono gli esperti e scrivono i giornalisti. Non fidatevi fino in fondo nemmeno di quel che state leggendo adesso.
Dunque nessuno sa cosa stia per accadere da oggi in poi nella Corea del Nord. Per avvicinarci al possibile, nella pletorica gamma fra i due estremi di una nuova guerra coreana e la nascita di una democrazia, abbiamo un solo dato certo. Nessun altro Paese al mondo è così ermeticamente chiuso. Forse nessun regime era così privo di un dibattito interno, di una qualsiasi forma di opposizione, di una produzione di samizdat che tenesse acceso il filo di luce di un pensiero diverso dal pensiero unico del Partito dei Lavoratori; che proponesse un’alternativa a quella monarchia confuciana rivestita di culto della personalità stalinista. A vedere da fuori, sembra che mai il lavaggio del cervello collettivo abbia raggiunto effetti così totali.
In questa stagione di Primavere ci piace credere che dall’Egitto alla Russia, ci possa essere un seguito addirittura nella penisola coreana. Ma nel mondo arabo c’è sempre stata un’opposizione, a Mosca è sempre esistita un’intellighentzia. Perfino in Siria e a Cuba, fra un’epurazione e l’altra, c’è sempre stato uno spazio almeno per il dibattito interno al vertice del partito. Può dunque un regime come quello coreano e una società congelata come quella che ha prodotto, passare dal vuoto del più perfetto dei grandi fratelli, a qualcosa di umano? Senza sembrare troppo pessimista, ne dubito. Non voglio essere catastrofico, anche se come prima reazione alla morte del loro capo i militari hanno lanciato, così, per restare in esercizio, alcuni razzi a corto raggio: abbastanza lungo per colpire Seul. Dubito solo che l’esempio della Corea del Sud, con lo stesso popolo e la stessa lingua ma libero e ricco, possa essere un acceleratore per il Nord come la Germania Ovest lo fu per l’Est comunista. Della Corea del Nord con le sue coreografie di massa così fuori moda e la sua minaccia nucleare così attuale, non ci libereremo facilmente.