L’accusatore è al di sopra di ogni sospetto: Abraham Foxman, il presidente dell’Anti-Defamation League, l’organizzazione che dall’ufficio di Manhattan, a due passi dalle Nazioni Unite, controlla, vaglia e denuncia tutto ciò che su Israele viene detto e/o scritto e può puzzare di antisemitismo. Ha scritto Foxman su Huffington Post: “Quando passano leggi che entrano in conflitto con la libertà di espressione, minano l’indipendenza del sistema giudiziario e, nel nome della difesa di uno Stato ebraico, tentano di mettere in discussione i diritti degli arabi e delle altre minoranze, viene erosa l’essenza democratica” d’Israele.
C’è qualcosa che non funziona nella democrazia israeliana: il necessario “collante che ha tenuto insieme una comunità disparata” come quella che 63 anni fa fondò lo Stato degli ebrei, ricorda sempre Foxman. L’estrema destra, il movimento dei coloni, i partiti ultra-religiosi e i loro rabbini, gli immigrati russi privi di cultura politica hanno acquisito una forza pericolosa. L’ingerenza del rabbinato militare è così forte che 19 alti generali della riserva hanno firmato un documento di protesta. Il problema è che molti di loro sono ottuagenari. La maggioranza degli ufficiali in servizio nelle unità di combattimento, quelli che faranno carriera, sono giovani, ultrareligiosi e vengono dalle colonie. Sono contrari alla promiscuità con le donne nell’esercito e avrebbero seri problemi a stabilire se le leggi dello Stato siano più importanti dei precetti della Torah. Sono distanti qualche secolo dall’élite militare laica e socialista del kibbutz di una volta.
Durante la seconda Intifada, attendendo gli eventi di un venerdì di tensione davanti alla Porta di Damasco, a Gerusalemme, conobbi un ufficiale della polizia di frontiera. Era immigrato da poco dall’Uzbekistan. “C’è una cosa che non capisco”, mi disse. “Sono venuto da un Paese con 10 fusi orari (intendeva l’Unione Sovietica) e adesso vivo in uno piccolo piccolo che dovrebbe cedere della terra agli arabi. Dovremmo essere noi a conquistarne dell’altra a loro”. E’ la cultura politica putiniana, la stessa che alla Knesset ha spinto il moscovita Alex Miller (Yisrael Beiteinu, partito etnico russo) a presentare una legge che nega ai palestinesi il diritto di celebrare la sconfitta del 1948, la Nabka; l’ucraino Ze’ev Elkin (Likud) a rendere illegale ogni boicottaggio ai coloni; ancora l’ucraina Fania Kirshenbaum a proporre d’investigare sulle organizzazioni di sinistra israeliane. Il principe di questa ondata putiniana è Avigdor Lieberman, già buttafuori in Moldavia, attualmente ministro degli Esteri. E’ stato l’unico politico mondiale a volare a Mosca per complimentarsi con Putin per la vittoria ad elezioni “assolutamente corrette, libere e democratiche”. Ha detto così, testuale.
Ha protestato l’ambasciatore americano in Israele, Dan Shapiro; perfino Hillary Clinton non ha nascosto la sua indignazione. Ma la legge che impone una pesante tassazione a tutte le Ong che ricevono sostegni dai governi stranieri (come Putin in Russia!) va avanti. La propongono Fania Kirshenbaum e Ofir Akunis, un sostenitore dichiarato di Joseph McCarthy e della caccia ai presunti comunisti americnai degli anni ’50, anche se lui allora non era nemmeno nato. I due sostengono che debbano essere tassate o chiuse solo le Ong “politiche”. Sono politici i rapporti di Peace Now sulla terra rubata ai palestinesi, quelli di B’Tselem sulle violazioni israeliane dei diritti umani nei Territori, le testimonianze dei soldati in Cisgiordania raccolte da Breaking the Silence e i documenti di Adalah sulla discriminazione contro gli arabi israeliani. Ma non sono Ong politiche Elad che compra e requisisce case arabe a Gerusalemme Est; Ateret Cohanim impegnato nelle stesse attività; gli Amici di Ariel che finanzia gli avamposti illegali.
Elad da solo ha un bilancio di 57 milioni di Sheker, Peace Now e altre sei organizzazioni “politiche” tutte insieme di 37. Ma queste ultime hanno conti in piena trasparenza: Stati o individui, i finanziatori appaiono con nome e cognome. Le organizzazioni di estrema destra no. Elad, per esempio, ha ottenuto un permesso speciale per non svelare i nomi dei donatori: motivi di sicurezza, hanno spiegato.
Qualche settimana fa per descrivere cosa sta accadendo nei Territori occupati e dentro la società israeliana, Amos Schocken, proprietario del quotidiano Ha’aretz (ora il 20% appartiene a un uomo d’affari russo) ha usato una parola che nessun israeliano aveva mai avuto il coraggio di dire: Apartheid. Ma anche Schocken è “un maledetto comunista”.