Il Nuovo Egitto ha incominciato a dispiegare le ali la settimana scorsa. E non è chiaro se sia stato il primo capitolo di un’operetta: la farsa della democrazia; o di una tragedia: la morte della democrazia.
Adly Mansur, il presidente a interim, ha promosso sul campo Abdel Fattah al Sisi: da generale a feldmaresciallo. Poco più tardi, dopo approfondito dibattito, il Consiglio supremo delle forze armate, lo Scaf, ha candidato il feldmaresciallo al Sisi alla carica di Presidente dell’Egitto: le elezioni dovrebbero svolgersi in marzo. La decisione è stata presa constatando il manifesto desiderio del popolo di essere governato dall’uomo più potente del Paese.
Al Sisi è l’uomo forte dell’Egitto perché tra le altre cariche che detiene (vice premier, ministro della Difesa e della Produzione militare, comandante delle forze armate) è anche il capo dello Scaf, il consiglio che dovrebbe riunirsi solo il caso di guerra e di pericolo alle frontiere ma che è al vertice palese e occulto del Paese da tre anni. E Adly Mansur, che gli ha aggiunto altre stellette sulle mostrine, è presidente a interim perché lo ha voluto al Sisi. Un Antonio Mastrapasqua col botto, insomma.
Il primo plebiscito popolare per il super-generale avrebbe dovuto essere il referendum costituzionale di gennaio. All’altro referendum dell’anno scorso sull’altra costituzione, quella dei fratelli musulmani, aveva detto si il 64%; a questo il 98,1. Ma la percentuale che conta è quella dei votanti sui 53 milioni di egiziani che ne avevano diritto. Al referendum della fratellanza aveva votato il 33, a quello dei militari (lo chiamiamo così non solo per semplificare) il 38,6%. Non proprio un plebiscito di partecipazione. In fondo anche il bulgaro 98,1 dei “si” va visto alla luce delle modalità bulgare del voto. Era stato vietato per legge fare campagna a favore del “no”. Per un classico Comma 22, le manifestazioni di protesta non autorizzate sono vietate. Poiché opporsi al referendum era una protesta contro le autorità, la propaganda elettorale per il “no” era fuori legge.
Se si rivotasse o se domani ci fossero elezioni presidenziali trasparenti, probabilmente al Sisi vincerebbe comunque. Non alla bulgara ma comunque con una percentuale incontestabile. La maggioranza degli egiziani era effettivamente delusa e preoccupata del modo di governare dei Fratelli musulmani e il golpe militare che ha abbattuto Morsi aveva un notevole sostegno popolare. Ma come Mubarak e ogni militare al potere politico, Sisi, i suoi generali e i civili al loro servizio, hanno una conoscenza elementare del pluralismo. Per loro un Paese si governa come una caserma: con la stessa disciplina e senza discutere gli ordini. A essere onesti, il caos egiziano da’ loro qualche ragione.
Fra le migliaia di detenuti politici ci sono 40 giornalisti colpevoli di aver fatto il loro lavoro. Chiunque critica è automaticamente un fiancheggiatore del terrorismo ma l’accusa più ricorrente è “complotto con i nemici stranieri dell’Egitto”. Prima o poi Mohamed Morsi sarà anche accusato di avere rotto il naso della Sfinge. In galera pure i ragazzi del 6 Aprile, il movimento che avviò piazza Tahrir.
Peggio dei poliziotti, nella gara al servilismo sono i giudici, pronti ad accogliere ogni denuncia, ad avviare le indagini più improbabili per punire i critici al pensiero unico dei “felul”, i sopravvissuti del regime di Mubarak ora tornati regime. Le falangi della restaurazione sono sempre le più assetate di vendetta.
Se a Tunisi si affacciano le idee di Thomas Jefferson (vedi post precedente), al Cairo prende corpo il Grande Fratello. Di tutti i segni del suo crescere c’è n’è uno che mi sembra paradigmatico. Pochi giorni dopo il 3 di luglio, il giorno dell’arresto di Morsi, i militari decisero d’istituire un nuovo ministero per riconciliare un Paese così polarizzato tra la fratellanza e gli altri. Al dicastero fu dato il nome di Ministero della Giustizia Transitoria e della Riconciliazione.
Il vescovo Desmond Tutu e la sua Commissione sulla verità e riconciliazione che ha pacificato il Sudafrica sulla base del perdono, non c’entra. Qui è solo Orwell e “1984”. Poco dopo la nomina, il ministro competente Mohamed Amin el-Mahdi, ha chiarito che i Fratelli musulmani erano responsabili indiretti di tutte le violenze in Egitto. Qualche mese dopo, per incoraggiare la riconciliazione, ha precisato che la fratellanza è una “minaccia terroristica”, “un’entità non egiziana”.