Come europei il dibattito fra i due candidati non ha dato chiarimenti su ciò che ci interessava di più: le intenzioni americane verso il principale alleato. Il disprezzo di Donald Trump per Nato e Ue è noto, cosa farebbe Kamala Harris no.
Non è stata la politica estera il tema dominante dello scontro fra la democratica e il repubblicano. Di Europa, Ucraina, Israele e Gaza si è parlato poco. Vladimir Putin è stato citato una decina di volte ma serviva più a un uso interno che internazionale. Harris ha citato Putin e gli altri dittatori del mondo come amici di Trump; il repubblicano ha accusato la democratica di odiare Israele, pensando all’elettorato ebraico americano.
L’America è la superpotenza mondiale ma da molti anni non è il modo in cui esercita questo potere che fa eleggere un presidente. La prima vittima del nuovo corso elettorale era stato George H.W. Bush, nel 1992. Aveva liberato il Kuwait senza invadere l’Iraq, costretto Israele ad avviare un processo di pace, riunificato le due Germanie, tentato di salvare l’Unione Sovietica in disfacimento. Ma allo sconosciuto Bill Clinton venuto dall’Arkansas bastò un “it’s the economy, stupid” per vincere.
I sondaggi dicevano che il 28% dell’elettorato – quello senza convinzioni ideologiche – non conosceva Kamala Harris. Ora sanno chi è, ne conoscono la determinazione. Ha spinto Trump sulla difensiva, costringendolo ad affermare che gli immigrati mangiano cani e gatti degli americani; che i democratici sono favorevoli all’aborto anche al nono mese: cioè a sopprimere il neonato dopo la nascita. Trump ha parlato molto più di Harris e ha detto molte falsità.
Convincendo Joe Biden a non ripresentarsi e scegliendo una candidata di 23 anni più giovane, il partito democratico era sceso a patti con la realtà. Rispetto al dibattito del 28 giugno, disastroso per Biden, ieri sera i ruoli si sono invertiti: il vecchio era Trump, 78 anni; e la giovane era Harris, 59. Nelson Mandela fu presidente del Sudafrica per un solo mandato perché, sosteneva, “a 80 anni è il momento di fare i nonni”.
Nel dibattito di ieri notte Kamala Harris ha invitato l’America a “voltare pagina”, a pensare al futuro, non al passato. Il passaggio più importante, una specie di programma in due righe, è stato quando ha affermato di non essere Biden né Trump ma di rappresentare una nuova generazione. Quello di cui un paese così diviso ha forse più bisogno: qualcuno che sappia riformare impegni e valori dell’America.
In qualche modo questo è anche un messaggio di politica estera. Kamala Harris non inviterà mai Putin, come ha fatto Trump, a fare “quel diavolo che vuole” di quei paesi europei che non spendono per la difesa il 2% del loro Pil. Ma affermare di appartenere a una nuova generazione significa implicitamente avere anche visioni e priorità diverse. Da 75 anni, cullandosi nell’idea di un continente definitivamente in pace, l’Europa ha dato la sua sicurezza in appalto agli Stati Uniti. Harris continuerebbe a svolgere questo dispendioso ruolo? E come reagirebbe se Bibi Netanyahu continuasse anche con lei, come fa con Biden, a ignorare le esortazioni americane per un compromesso con i palestinesi?