Profughi per sempre

Ripubblico il post che scrissi dieci anni fa nel giorno della (mia) Memoria. Non credo che molto sia cambiato da allora. 

Nel giorno della Memoria, la sorella d’Italia Giorgia Meloni propone di togliere a Josip Broz Tito le onorificenze e i cavalierati attribuitigli negli anni dai governi italiani. Mi scusi, signora Meloni, ma chi se ne frega. Non le parlo da giornalista – sarei scortese a usare questo tono – ma da figlio di fiumana.

I protagonisti di questa tragedia sono sempre di meno. Se dunque è a noi, figli di profughi, che vuole fare un piacere, lasci perdere. Non ci interessa: l’ingiustizia è stata fatta molto tempo fa e indietro non si può tornare.

Se invece l’origine della sua proposta anti-titina è di ristabilire la verità della Storia, lasci perdere ugualmente: la Storia è una brutta bestia, è cosa troppo complicata e lunga per essere ridotta nelle due righe di uno slogan elettorale. Come molti protagonisti di questa e di altre tragedie, Tito è stato un assassino e un eroe, ed entrambi i giudizi sono esatti.

E se dovessimo smascherare i colpevoli per i 12mila morti nelle foibe, i 350mila profughi, le ostilità e i silenzi durati decenni, non sarebbe giusto limitarci ai comunisti jugoslavi. Dovremmo indagare anche nel campo italiano e fascista al quale, nonostante sia così giovane e intelligente, Giorgia Meloni è riuscita a trovare dei punti di riferimento.

L’anno scorso, anche nell’ottavo giorno della memoria avevo scritto un post dedicato a mia madre Giuliana e a tutti i giuliano-dalmati come lei. Solo nel 2004 il Paese al quale mia madre era certa di appartenere nonostante tutto, ha incominciato a ricordare. L’anno scorso, dicevo, mi ero concentrato sul dopoguerra e sul modo cinico e disumano con il quale democristiani e comunisti si comportarono verso i profughi. E’ ancora il post più “cliccato” del mio blog. Nemmeno quando scrivo di israeliani e palestinesi ottengo lo stesso successo.

Tantissimi si sono complimentati, qualche stalinista mi ha dato del traditore fascista e alcuni mi hanno ricordato che forse le foibe non ci sarebbero state se, prima, i fascisti non avessero fatto la loro pulizia etnica. E vero. Nessuno può sapere se Fiume, Istria, Pola, Lussinpiccolo sarebbero state risparmiate dalla furia dei titini: era una guerra mondiale, aggravata da una guerra etnica in una terra di evanescenti confini, non solo geografici. E’ la straordinarietà di tutte le terre di frontiera: sono le più dinamiche e produttive in pace e le più maledette in tempi di guerra.

Però è vero. Mettiamola così: storicamente anche i fascisti italiani sono complici della pulizia etnica finale di Tito. Dunque i proto, i post e gli ex fascisti di oggi non hanno il diritto di sentirsi dalla nostra parte. La condanna di Tito a futura memoria espresso, suppongo, con indignazione da Giorgia Meloni, è un j’accuse incompleto.

La sfortuna di questa nona giornata della memoria è di capitare a due settimane dalle elezioni. La superficialità dei commenti di destra e di sinistra che leggete sui giornali, è figlia di questi giorni di mediocrità a tutto campo del dibattito politico. La Meloni l’ha buttata sulla Grande Storia. Di Pietro invece ha dichiarato: “Bisogna tenere alta la guardia e condannare sempre con fermezza qualsiasi atto contro la dignità della persona e contro ogni forma di razzismo e intolleranza”. Dichiarazione quattro stagioni, senza soggetto, buona per il giorno dell’Olocausto, le curve che fischiano i giocatori di colore, lo sfruttamento degli immigrati nella raccolta dei pomodori.

Noi, figli di profughi, cioè profughi minori finché vivremo, continuiamo a restare soli. I nostri genitori venuti da quella terra ci hanno insegnato che la solitudine a volte è una condizione onorevole. Ogni tanto mia madre mi portava agli incontri del Circolo giuliano-dalmata di Milano. Ero piccolo, l’unico ricordo che ho è il “sai, sai còcolo” che mi dicevano tutti. Mia madre non mi ha mai parlato dei suoi ricordi di Fiume, aveva scelto di non tornare mai più a rivedere casa. Era molto bella ma il suo sguardo non si era mai liberato da un permanente velo di tristezza perché un profugo resta profugo: anche se nell’esilio si costruisce una vita felice, sa che a Casa non tornerà mai più.

Ricordo quello che mi raccontò un palestinese nel campo profughi di Chatila, a Beirut. Una volta sua madre era tornata a Haifa a rivedere la sua casa. “Mi disse di avere riconosciuto gli ulivi che suo padre aveva piantato nel giardino. Strappò un’oliva e se la mise in bocca, acerba, per sentire di nuovo il sapore della sua terra. La casa era abitata da una famiglia di ebrei yemeniti. La vecchia padrona era fuggita anche lei. Invitò mia madre a entrare e bevvero insieme caffè, parlando tutte e due dei loro ricordi e della loro nostalgia”.

Ogni popolo di profughi ha la sua storia, tutte hanno la stessa dignità. 

Nella foto: mia madre, profuga a Milano, nel giorno della sua cresima.

 

  • carl |

    Stavolta, dopo la lettura di questo Suo personale (ma anche storico) ed equilibrato intervento, il solo commento possibile è quello di un rispettoso e partecipato silenzio.

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