Giappone, ottomila chilometri dal Donbas

Zeitenwende”, spartiacque, aveva definito la guerra in Ucraina il cancelliere Olaf Scholz. Un discrimine fra passato e presente da costringere la Germania ad aumentare le spese militari 77 anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale, e inviare armi a Kyiv, sia pure con qualche esitazione. E’ invece con un certo entusiasmo che il premier Fumio Kishida annuncia importanti cambiamenti nella postura della sicurezza giapponese.

Il Giappone non è un paese neutrale sebbene la sua forte aspirazione al pacifismo sia scritta nella Costituzione: nel paese ci sono basi militari americane pagate anche dai contribuenti giapponesi. Dal Quad in poi, Tokyo partecipa a tutte le istituzioni politiche e militari per contenere l’espansionismo cinese in Asia. Né il dibattito interno sul suo riarmo è una novità: negli anni passati era stato anche proposto un programma nucleare, subito scartato nell’unico paese al mondo che ha subito un’esplosione atomica.

Kishida è nato a Hiroshima e non sarà lui a ridare vita a quella insostenibile idea. Ma a cambiare il profilo militare del Giappone probabilmente si, a cominciare dalla nuova Strategia di Sicurezza Nazionale, il documento decennale la cui versione modificata sta per essere annunciata. Per quell’implicita volontà pacifista limitata dai conflitti asiatici degli ultimi decenni, il paese spendeva l’1% del Pil: un limite invalicabile. Ora Kishida vuole raddoppiare al 2%, uguale all’obiettivo di spesa che si sono dati i paesi della Nato. In valori assoluti il bilancio militare giapponese diventerà il più grande dopo quelli di Usa e Cina.

Il cambiamento è sostenuto dal 64% dei giapponesi, prima scettici, ora favorevoli a rafforzare le capacità militari della nazione. Anche l’articolo 9 della Costituzione nella quale si rinuncia alla guerra sarà probabilmente corretto per permettere definitivamente al Giappone di correre in aiuto dei paesi alleati in caso di aggressione.

Questo non vuol dire che Tokyo entrerà nella Nato ma che probabilmente prenderà come modello asiatico alcune funzionalità dell’Alleanza Atlantica. Come l’aumento delle spese militari al 2%.

In questi anni le minacce si sono moltiplicate nell’Indo-Pacifico. Certamente Taiwan: in un vicino futuro potrebbe essere la versione asiatica dell’Ucraina. Ma i pericolo più vicini e immediati per il Giappone sono l’assertività cinese in altre aree di crisi asiatiche: la disputa con Pechino sulle isole Senkaku, per esempio. E i ripetuti lanci di missili balistici dell’incontrollabile regime Nord-coreano. Quelle armi capaci di trasportare testate atomiche partono sempre in direzione delle isole giapponesi.

Tuttavia non è casuale che l’atteggiamento muti dopo l’aggressione russa all’Ucraina. “E’ stato un cambiamento con la forza dello status quo”, aveva commentato Fumio Kishida, esprimendo la preoccupazione della sua opinione pubblica, nonostante la guerra si svolgesse a 8mila chilometri di distanza. Il 61% ha sostenuto la decisione di condividere le sanzioni imposte dal G7 (del quale il Giappone è parte dalla fondazione), compresi gli aiuti militari all’Ucraina.

Tokyo ha un antico contrasto con la Russia. Fra le esplosioni di Hiroshima e Nagasaki – praticamente a conflitto finito – i sovietici dichiararono guerra al Giappone e dieci giorni dopo invasero le isole Kurili che continuano a possedere.

Ma se guardiamo il mondo a cento giorni dall’inizio dell’invasione russa, molte cose sono cambiate e occorrerà tempo e fatica diplomatica per stabilizzarle. Il riarmo tedesco, Svezia e Finlandia che rinunciano alla loro neutralità; un’incertezza di sicurezza collettiva che raggiunge le coste del Mar del Giappone: lontane dall’Ucraina ma anche su quel mare orientale fisicamente e geo-politicamente guarda anche la Russia.

Quella ucraina è una guerra europea sul piano militare e politico. Per questo paesi importanti come India, Indonesia, Sudafrica, Brasile, perfino la Cina, preferiscono restarne fuori. Ma è mondiale sotto tutti gli altri aspetti. Economici, prima di tutto. Produzione, trasporto e costo delle materie prime: per i paesi più fortunati è inflazione ma per gli altri sarà anche fame. Ed è mondiale anche il venir meno della sicurezza collettiva e di ogni singolo paese: normalmente costruita da un equilibrio fra diplomazia e dissuasione militare. Se un conflitto così è capitato nel cuore dell’Europa ricca, può ripetersi anche nell’Asia non meno ricca. Perché la storia non finisce mai: a volte insegna qualcosa, nella maggioranza dei casi si ripete.

 

Il Sole 24 Ore, 11/6/21

  • carl |

    Certo, quella tutt’ora in corso in Ucraina ha avuto non poche conseguenze (anche Tafazziane..) sul piano economico. Conseguenze che, a sommesso parere dello scrivente, dovrebbero far riflettere sia le masse che i decisori, dato che, di fatto, rappresentano l’ennesimo caso del “senno di poi” ad alto livello.. Infatti se al popolo non è stato a tutt’oggi ancora consentito di raggiungere quel diffuso, sufficente livello di istruzione che è indispensabile per un’adeguato comportamento, valutazione, responsabilizzazione, ecc. a seconda delle circostanze, per contro i “decisori”, i politici professionisti ce l’hanno, o dovrebbero averla.. Ecco perchè è sorprendente che una guerra come quella ucraina e cioè convenzionale, circoscritta e di livello assai inferiore alle due grandi guerre del secolo scorso, sembra che abbia trovato impreparate le alte sfere dell’umana piramide occidentale sia per quanto riguarda la predisposizione di preziose riserve, in primis di derrate alimentari di grande consumo ma anche di materie prime, energetiche, ecc. che sono all’origine della fiammata di inflazione, ecc. e che potrebbero causarne anche altre.. Aggiungo, pensando ai tanti patiti del “si vis pacem, para bellum”.. e/o al ricorso alla guerra come, prima, ultima o penultima ratio, che oggi su Le Monde si accenna al fatto che è stata rilevata anche l’inesistenza di sufficenti riserve di armamentari (convenzionali..) per cui si pensa di emulare gli USA stabilendo una legge che preveda il ricorso & la requisizione e la conversione al “militare” di aziende produttrici di beni di largo consumo economico/civile..

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