Sarà l’Ucraina aggredita a stabilire quale pace ci sarà, affermano senza esitazione tutti i leader occidentali: lo ha detto anche Mario Draghi a Washington. Ma per fermare la guerra bisognerà lasciar vincere “qualcosa” anche a Vladimir Putin, suggeriscono con toni più bassi quasi tutti gli stessi leader occidentali.
C’è un evidente contrasto fra il primo e il secondo punto di vista sul conflitto in Ucraina. La cosa più complicata è che le due opinioni siano in opposizione ma pensate dalle stesse diplomazie, i medesimi generali, gli opinionisti e le opinioni pubbliche, gli imprenditori e gli uomini di fede degli stessi paesi.
Fino a circa un mese fa c’era almeno una distinzione: tutti volevano il successo di Volodymyr Zelensky ma a prezzi diversi. La vittoria assoluta fino ad armare senza sosta gli ucraini e umiliare i russi, era la convinzione degli anglosassoni a Washington e a Londra; la via negoziale nonostante l’assenza totale di una trattativa e l’evidente difficoltà d’iniziarne una, e armando gli ucraini con juicio, come direbbero gli spagnoli, era l’idea degli europei: soprattutto Francia, Germania, Italia e, appunto, Spagna.
Ora anche a Washington non sono più così sicuri di voler perseguire ad ogni costo la completa vittoria ucraina. “Vogliamo vedere la Russia indebolita al punto in cui non potrà fare quel genere di cose che ha fatto invadendo l’Ucraina”, dice il segretario americano alla Difesa, Lloyd Austin. E’ una precisazione importante: non è quell’umiliazione della Russia che ancora vorrebbero alcuni al Pentagono e molti repubblicani (non però i sostenitori di Donald Trump). Anche negli Stati Uniti hanno capito che nella storia è sempre stato controproducente umiliare zar, segretari del Pcus e successori: il risultato finale è di gran lunga peggiore dello scopo iniziale. Tuttavia, non umiliare i russi e lasciare che ottengano qualcosa dall’Ucraina significa anche salvare Vladimir Putin.
Qualsiasi obiettivo sarà alla fine perseguito, al momento nessuno è riuscito a individuare la formula perfetta, quantomeno la migliore o la meno peggio: quell’equilibrio fra vittoria ucraina e non-sconfitta russa; qualcosa che renda insostenibile il potere di Putin ma non assomigli all’imposizione di un cambio di regime. Il mese scorso, quando a Varsavia Joe Biden aveva quasi implorato “per l’amor di Dio, quest’uomo non può restare al potere”, non si poteva che essere d’accordo: sul piano morale. Politicamente è stato un errore.
Ma, appunto moralmente e in qualche modo anche politicamente, perfino i sostenitori della via negoziale si chiedono come sarebbe il mondo con Putin ancora al Cremlino. E’ augurabile che fra cinque mesi e mezzo, il 15 novembre, in Ucraina ci sia almeno un cessate il fuoco. Ma anche se i bombardamenti continueranno, quel giorno a Bali ci sarà l’annuale vertice del G20. Ed è prevedibile che nella foto di gruppo dei leader delle economie più grandi del mondo vedremo ancora Putin.
Non bisogna “mai cedere alla tentazione dell’umiliazione né al senso di vendetta” nei confronti della Russia, aveva detto Emanuel Macron al Parlamento Europeo di Strasburgo. Ma se Putin resta al potere e gli si lascia vincere “qualcosa” da vendere alla sua opinione pubblica cloroformizzata (per esempio una conquista territoriale), significa tenere pericolosamente aperta la questione ucraina nel cuore dell’Europa. Tempo un paio d’anni Putin ci riproverà; o tenterà di destabilizzare la Transnistria moldava; o altro ancora nel Baltico.
Più di un esperto sostiene che ormai il dittatore russo sia un paria e che le sanzioni isoleranno la Russia qualsiasi cosa accadrà sul campo di battaglia. Forse. Ma Covid più guerra hanno ingigantito l’inflazione mondiale; c’è la crisi delle materie prime, gas e petrolio hanno prezzi insostenibili; il grano bloccato sta affamando intere regioni del mondo; la lotta ai mutamenti climatici è stata aggiornata.
Il costo è troppo alto perché governi e opinioni pubbliche mantengano sulle sanzioni alla Russia il rigore di oggi; perché banche e imprese che operavano su quel mercato non si convincano che Putin non è un ostacolo. Si fanno affari con l’Egitto di al-Sisi, col principe ereditario saudita che uccide e smembra gli oppositori, con le satrapie dell’Asia centrale ex sovietica. La gran parte dei paesi nei quali cerchiamo fonti energetiche alternative, non sono più democratici della Russia. Perché Putin no, dunque?
L’ipotesi di morire per la libertà dell’Ucraina non era mai stata presa in considerazione. A meno di un miracolo militare ucraino, presto la consistenza dell’Europa sarà messa di nuovo alla prova. E’ la nostra tentazione all’appeasement, l’arma definitiva di Vladimir Putin.
Il Sole 24 Ore, 4/6/2022