Natale di guerra

natale2Have Yourself a Little Merry Christmas”: se ci riesci, goditi un piccolo Natale felice a dispetto della guerra, cantava Judy Garland agli americani nel 1943. Festeggiare era una necessità, un obbligo di sopravvivenza ma nessuno sentiva davvero il desiderio di farlo mentre milioni di “G.I.” erano al fronte in Europa e in Estremo Oriente.

Un po’ come noi oggi, affaticati da due anni di conflitto con la pandemia e ora aggrediti dalla sua nuova variante Omicron: un’arma di contagio di massa. Ci sentiamo come se il nemico che credevamo di avere quasi sconfitto, avesse compiuto un’inaspettata offensiva, sfondando le linee del nostro fronte.

Anche per noi questo è un Natale di guerra. E per la prima volta non solo a causa del Covid. Le similitudini belliche con il virus sono superflue perché ora la minaccia del conflitto militare tradizionale, è reale. Da almeno un anno ci chiediamo se quella fra Usa ed Europa da una parte, Cina e Russia dall’altra, sia una nuova Guerra Fredda: articoli e webinar a profusione. Intanto l’ipotesi di un conflitto vero, fra eserciti, fucili, cannoni e carri armati, ha preso sempre più corpo nel cuore d’Europa, in Ucraina, e in Estremo Oriente a Taiwan.

Parlando della crisi ucraina alla Bbc, il capo di stato maggiore britannico, l’ammiraglio Tony Radakin, pochi giorni fa sosteneva che nell’ipotesi peggiore, un’invasione russa, avverrebbe su una scala “mai vista in Europa dalla II Guerra Mondiale”. Anche la Guerra Fredda aveva avuto a Berlino e Cuba momenti di crisi acuta al punto da sfiorare un conflitto armato, perfino nucleare. Ma la città tedesca e l’isola caraibica non erano così fondamentali per l’Unione Sovietica quanto oggi l’Ucraina per la Russia di Vladimir Putin e Taiwan per la Cina di Xi Jinping.

In un breve saggio di 5mila parole pubblicato la scorsa estate e intitolato “Sull’unità storica di russi e ucraini”, Putin aveva affermato che “la vera sovranità dell’Ucraina è possibile solo nella partnership con la Russia”. E’ la stessa retorica di Xi quando parla dell’inevitabile riconquista di Taiwan: “L’obiettivo storico della completa riunificazione della madrepatria deve essere realizzato e sarà realizzato”. Non vi fanno tornare alla memoria la rivendicazione del lebensraum, lo “spazio vitale” della Germania nazista o la “quarta sponda” del fascismo?

La Storia ci aiuta a ricordare che non si ripete mai in copia carbone, ciononostante avanza da una similitudine a un’altra: perché se la scienza è in perenne evoluzione, i comportamenti delle nazioni e dei loro leader hanno dinamiche piuttosto ripetitive. Come molti loro predecessori, Putin e Xi sono convinti di avere un credito dalla storia: Ucraina e Taiwan sono il loro riscatto.

Oggi c’è la globalizzazione, l’interscambio delle merci e delle risorse finanziarie uniscono la Cina e (un po’ meno) la Russia all’Occidente. E’ impensabile che, come teme l’intelligence Nato, completato il dispiegamento di 175mila uomini a fine gennaio la Russia invada l’Ucraina; o che i cinesi sbarchino a Taiwan, isolandosi dai suoi proficui mercati mondiali.

Anche nel 1914, dopo 40 anni di crescita industriale e conquiste coloniali, gli imperi europei pensavano che la guerra fosse in disuso. Perfino i nazionalisti più accesi che invece la volevano, erano certi che dopo una rapida mischia e qualche modifica di confine, la Belle Epoque sarebbe ripresa. Riferendosi all’attuale crisi ucraina, un alto funzionario dell’intelligence Nato sostiene che sia “follia pensare che la guerra possa essere contenuta in una sola nazione”.

Ma questo è forse il problema: spesso i conflitti scoppiano per l’errata interpretazione della realtà da parte dei leader, soprattutto dei dittatori che non confrontano con altri le loro decisioni. Nessuno mette in discussione il legame storico della Russia con l’Ucraina e della Cina con Taiwan (sebbene la Rus’ di Kiev sia il punto di partenza della nazione russa e Taiwan solo una delle mille isole del mar cinese). Ma è anche giusto ricordare che oggi sono gli ucraini e i taiwanesi a voler lasciare quelle radici nel passato, non disseppellirle per un futuro senza libertà.

Il rilancio diplomatico di Putin per risolvere la crisi ucraina, è un esempio calzante di distorsione della realtà: vietato allargare l’Alleanza Atlantica a Est, finlandizzazione dei paesi Nato ai confini con la Russia.Non sono aperture diplomatiche ma condizioni che un vincitore impone allo sconfitto. E’ come se Putin avesse bisogno di un no dell’avversario per giustificare l’inevitabilità dell’uso della forza.

E’ falso, come sostiene l’autocrate russo che gli Stati Uniti e gli europei stiano per accogliere l’Ucraina nella Nato: forse ad eccezione di baltici e polacchi, non ne hanno alcuna intenzione, non esiste un processo in corso. E’ anche falso che stia per accadere un “genocidio” contro le popolazioni russe dell’Ucraina, bene armate e con 175mila soldati russi ai confini.

Parte di una interpretazione pericolosamente errata della realtà, è che gli europei, divisi tra loro e bisognosi del gas russo, non si opporrebbero a una normalizzazione dell’Ucraina. E che l’America stia affrontando un ineluttabile declino: il caotico ritiro dall’Afghanistan, la paralizzante contrapposizione in Campidoglio, il primo anno di Biden tutt’altro che esaltante, la possibilità che Donald Trump torni alla Casa Bianca, sarebbero prove evidenti.

La settimana precedente all’elogio dell’Italia di Draghi, l’Economist aveva dedicato la copertina agli Stati Uniti. Il settimanale inglese si chiedeva per cosa oggi l’America sia destinata a combattere e concludeva che se dovesse ritirarsi dai suoi impegni internazionali, “il mondo diventerebbe più pericoloso”. Non credo che questa sia una cattiva valutazione della realtà.

Intanto auguri a tutti. Have Yourself a Little Merry Christmas.

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