Fra il 16 e il 29 ottobre 1962 il mondo fu a un passo dalla guerra nucleare. Gli americani avevano scoperto a Cuba rampe e missili russi con testata atomica; altri erano in viaggio dall’Urss. Un anno prima a Berlino, Krushov aveva fatto costruire il muro. Gli arsenali nucleari delle due potenze crescevano ogni anno di più: nel 1986 avrebbero raggiunto il massimo di 68mila ordigni.
Eppure in quei 13 giorni di ottobre non accadde nulla perché anche nelle ore più tese della crisi non era mai mancato un canale negoziale segreto. C’era anche ai tempi di Stalin, mentre i due grandi avversari scoprivano che la loro contesa era mondiale e che nessun altro si sarebbe intromesso.
E’ pensando alla storia recente che forse vanno interpretati gli ultimi eventi fra Joe Biden e Vladimir Putin. La famosa risposta – “I do” – dell’americano alla domanda se ritenesse il russo un assassino; la mobilitazione russa alla frontiera ucraina; la telefonata di Biden per un incontro in campo neutro; e da ultimo le fresche sanzioni americane.
Sono sempre stato convinto che senza conoscere la Storia non sia possibile capire il presente. E credo che il modo migliore per ordinare gli ultimi avvenimenti, così contraddittori, sia guardare a quelli passati. L’ “assassino”, le sanzioni, le accuse (con prove) d’interferenze sono una specie di puntualizzazione: la festa degli anni di Trump è finita, si ricomincia daccapo e questo è il nuovo campo di gioco. Che poi è quello di sempre, prima che l’imprenditore edile di New York apparisse sulla scena.
La nuova tensione alzata da Putin alla frontiera ucraina è pericolosa. Ma ci sono anche responsabilità ucraine: presto a Kiev si vota. Le sanzioni per l’annessione russa della Crimea sono un atto dovuto: 76 anni dopo la carneficina della guerra, Usa e Ue non possono accettare che confini europei cambino con la forza delle armi. Fosse avvenuto per negoziato, non avrebbero avuto obiezioni: la Crimea era passata dalla Russia all’Ucraina per ukase di Krushov, nel 1954.
Quello che conta in tutto questo, è la telefonata fra Biden e Putin: poco importa che non sia stata così amichevole. Agli atti restano le dichiarazioni. L’americano ha “espresso l’interesse di normalizzare lo stato degli affari”, hanno riferito le fonti ufficiali russe; secondo quelle americane Biden ha proposto di “stabilire una stabile (la ripetizione è loro, n.d.r.) e prevedibile interazione su problemi così acuti come equilibrio strategico e controllo degli armamenti, programma nucleare iraniano, situazione in Afghanistan e mutamenti climatici”. Come scrive il Financial Times, l’approccio occidentale alla Russia è “prigioniero del perenne dibattito fra realismo e idealismo. La scelta è fra coinvolgimento e scontro, perseguimento degli interessi e difesa dei valori”.
La vera minaccia è invece la Cina, il nuovo protagonista che si è intromesso fra i due avversari storici con la convinzione di conquistare scena e primato. A Pechino sono veramente convinti che la decadenza americana sia ineluttabile: a Mosca non lo hanno mai creduto, gli slogan ideologici di una volta erano parte del gioco. Quando la Cina si dichiara comunista e contemporaneamente capitalista, riuscendo ad essere l’una e l’altra, la sintesi senza precedenti è minacciosa.
Qualche giorno fa, l’ufficio del direttore nazionale dei servizi d’intelligence americani ha pubblicato l’annuale valutazione delle minacce agli Stati Unitihttps://int.nyt.com/data/documenttools/annual-threat-assessment-report/5bd104278cd017bd/full.pdf . Delle 27 pagine del documento, una sola è dedicata al pericolo del terrorismo: forse non accadeva dall’11 Settembre. Nell’ordine, i soggetti più pericolosi sono Cina, Russia, Iran e Corea del Nord. Tutti “hanno dimostrato capacità e intenzione di avanzare i loro interessi a spese degli Stati Uniti e dei suoi alleati, nonostante la pandemia”. Ma solo la Cina ha le capacità economiche, militari e tecnologiche e “sta spingendo per cambiare le norme globali”, cioè gli equilibri costituiti.
Gli americani sono preoccupati per l’aumento della presenza russa nell’Artico, ora che lo scioglimento dei ghiacci apre nuove rotte marittime. Ma la presenza russa è solo militare, quella cinese è militare ed economica: costruiscono porti, insediamenti, si sono comprati mezza Groenlandia.
Nel post di Slow News del 13 marzo, “Un lungo telegramma dalla Cina”,https://ugotramballi.blog.ilsole24ore.com/2021/03/13/un-lungo-telegramma-dalla-cina/ avevo riferito del “Longer Telegram” che un anonimo sinologo americano aveva inviato ad Atlantic Council, think-tank di Washington, per mettere l’America in guardia dal pericolo. L’esperto sosteneva che lo strumento contro la nuova minaccia non dovesse essere il contenimento come fu con l’Urss, 70 anni fa, ma la competizione: tecnologia migliore, economia più dinamica, infrastrutture più avanzate che in Cina. Infine esortava il vertice americano a impedire un’asse fra Cina e Russia.
Apparentemente quell’alleanza sembra nelle cose: Xi Jinping e Putin sono due autocrati, nemici della democrazia e avversari dell’America. Ma l’ideologia non è più così determinante come durante la Guerra fredda.
In realtà non lo era nemmeno allora. Mao sosteneva che Stalin fosse come un ravanello: rosso fuori ma bianco dentro; nel 1969 cinesi e sovietici combatterono sul fiume Ussuri una guerra breve ma cruenta; e nel ’72 la Cina si avvicinò agli Usa. Nella Storia (appunto, sempre quella) una frontiera comune di 4.209 chilometri come quella fra Repubblica Popolare e Russia, è sempre stata una causa di contenziosi più che una ragione di alleanze. Infine a Vladimir Putin è chiaro chi sarebbe il socio più debole in un’alleanza con la Cina.
Gli accordi commerciali energetici, i summit e le gigantesche manovre militari congiunte, i russi possono continuare a farle con i cinesi senza essere costretti in un’alleanza formale e impegnativa. Putin e Biden sono rivali ma hanno una cosa in comune: competono per mantenere lo status quo che li ha prodotti. Xi lo vuole cambiare.