Se esplode un vagone carico di materiale infiammabile o crolla un ponte, l’amministratore delegato delle ferrovie o quello delle autostrade è legalmente responsabile del disastro. Per molti versi premier, presidenti, emiri, re e dittatori sono gli amministratori delegati dei paesi che governano. Dunque per le decisioni che prendono e le conseguenze che a volte provocano, potenzialmente possono essere considerati tutti assassini. Eventualmente con motivazioni preterintenzionali.
Almeno fino al 1939 neanche Winston Churchill o F.D. Roosevelt avrebbero detto pubblicamente che Adolf Hitler era un assassino. Appare dunque un po’ esagerato che un gentiluomo come Joe Biden – da senatore e vicepresidente un maestro di diplomazia e compromesso – dica così chiaramente che Vladimir Putin è un assassino. Poche settimane prima Biden non era arrivato a tanto nemmeno con Mohammed bin Salman, il principe ereditario saudita del quale la Cia aveva le prove del coinvolgimento nella morte del giornalista Jamal Khashoggi.
Come amministratore delegato degli Stati Uniti durante la sua presidenza, anche George W. Bush potrebbe essere chiamato a rispondere di omicidio: quante vittime civili ha causato la sua decisione d’invadere l’Iraq? Nel suo caso non potrebbe essere nemeno usata l’attenuante della preterintenzionalità. Bush sapeva quanto falsa fosse la “canna fumante”: l’atomica di Saddam Hussein l’aveva inventata la sua amministrazione.
O, se preferite, anche Donald Trump potrebbe essere tecnicamente un assassino. Qualsiasi tribunale potrebbe definire la sua insistenza sul “virus cinese” un’istigazione alla vendetta contro i cinesi. Durante la pandemia il numero dei crimini negli Stati Uniti è drasticamente crollato. Non le aggressioni agli asiatici, aumentate del 147%, secondo la Cnn. In un paese con troppi ignoranti e troppe armi in giro, tutti quelli con gli occhi a mandorla sono cinesi. Dopo l’11 settembre fu ucciso un sikh davanti a una pompa di benzina, per vendetta: aveva il turbante, dunque doveva essere musulmano.
Eppure…. Eppure, sentendo quella risposta così convinta alla domanda se Putin fosse un assassino – “M-m, I do” – in molti abbiamo pensato che comunque avesse ragione. Che troppa arroganza, troppe azioni brutali contro paesi e singoli uomini e donne, si erano accumulate nella piena impunità. E se la domanda su Putin avesse riguardato anche Xi Jinping, la risposta sarebbe stata uguale. Perché forse è questa la ragione della risposta sorprendentemente non-diplomatica di Biden: dopo anni di ambiguità e appeasement, è venuto il momento di stabilire una linea rossa. Di qua i paesi democratici, dall’altra parte le potenze che non lo sono e che vogliono minare le nostre libertà.
C’è una differenza sostanziale fra gli amministratori delegati occidentali che volutamente o meno, a causa delle loro decisioni provocano vittime, e gli altri: i primi cambiano, perdono le elezioni, li cacciamo dal potere. I secondi no, continuano a perseguitare e uccidere a vita. Prima di morire di vecchiaia, Xi avrà tutto il tempo per finire il lavoro con gli Uiguri. E saranno generazioni di dissidenti, oppositori, giornalisti scomodi, spie fuggite in Occidente, che Vladimir Vladimirovich potrà uccidere e avvelenare.
Alcune interessanti biografie (“The New Tzar” di Steven Lee Myers e “Putin’s People” di Catherine Belton) si chiedono se Putin sia sempre stato lo stesso o il potere lo abbia progressivamente trasformato. Forse il potere logora chi non lo ha ma fatalmente cambia chi lo detiene per troppo tempo. E fa male, perché da’ una pericolosa convinzione di potenza e immortalità.
Fino a che il barile di petrolio costava come l’oro al punto da garantire una qualità della vita che i russi non avevano mai conosciuto, c’era un presidente Putin. Poi ce n’è stato un altro, del neo-attivismo geopolitico: convinto che un arsenale nucleare e un’industria militare bastassero da sole per definire ancora superpotenza la Russia. Ora c’è il Putin senile che dopo aver contribuito a portare alla Casa Bianca il presidente che voleva, è certo di essere il pantocratore, colui che può tutto.
Mentre invece è la Cina la vera preoccupazione americana. La Guerra fredda con i sovietici fu un confronto militare-ideologico; la competizione con la Cina è tecnologica, economica e, solo come eventuale conseguenza, anche militare. Bollato Putin come “assassino” (la definizione non intendeva essere letterale ma indicare un netto mutamento comportamentale rispetto ai quattro anni di amministrazione Trump), è con la Cina che va cambiato al più presto l’atteggiamento. Da Deng Xiaoping in poi l’Occidente pensava che approfondire l’interdipendenza economica avrebbe temperato il riarmo cinese, le sue ambizioni territoriali e il disprezzo per le libertà. Non è stato così.
Il significato del “reset” tentato con Putin da Barack Obama, e fallito, era stato una specie di scordiamoci il passato e riproviamo. Ora nella reimpostazione dei rapporti con Russia e Cina, il passato è un elemento di partenza per marcare le differenze in questo nuovo e lungo confronto globale. Dalla battaglia per i vaccini al controllo dei semiconduttori.
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