Geopolitica del virus

lumbardAnche se il corona è un virus sviluppato in una pandemia di irrazionale terrore, c’è qualcosa di “salutare” nei suoi effetti: è un bagno di umiltà per noi milanesi e lombardi, ci insegna a capire cosa vuol dire finire dalla parte sbagliata della storia. Non più eccellenza ma untori, dall’ape spritz-Campari all’amuchina. Israele ha rimandato a casa senza farli nemmeno scendere, i viaggiatori di tutti gli aerei provenienti da Milano e Bergamo. Le autorità di Mauritius hanno diviso gli appestati del Lombado-Veneto dagli altri.

Le statistiche lombarde del virus hanno risucchiato l’intera Italia nella categoria globale di paese a rischio. Da motore del paese a causa della sua ennesima crisi. I nostri soldati li difendono, ma Libano e Iraq ci chiudono le loro frontiere. Irriconoscenti. Ma non credo che a parti invertite saremmo migliori: è un’altra storia, ma ricordiamo la nostra idiosincrasia per i loro profughi.

C’era una cosa che tenevamo nascosta, ma milioni e milioni di turisti stranieri capivano appena arrivavano in Italia: che il nostro era un paese da visitare -forse il più bello – non da viverci. Ora non è neanche da visitare, almeno per un po’. Quello italiano è un esempio minore di una questione globale: come ci sta cambiando il virus. Gli aspetti sanitari ci sono ormai chiari, bombardati da una stampa la quale non è chiaro quanto stia informando e quanto assecondando la nevrosi generale. Le conseguenze economiche diventano sempre più evidenti.

Quello che solo vagamente siamo in grado di percepire oggi è la geopolitica del virus: quanto politicamente la sua diffusione cambierà il già fragile sistema internazionale e le dinamiche interne di ogni paese. Prima del caso Wuhan la Cina era in marcia verso la conquista del mondo. Non c’era continente nel quale le imprese cinesi – sostanzialmente lo stato – non comprassero porti, costruissero strade, dighe, acquisissero il monopolio di quei metalli rari necessari allo sviluppo delle tecnologie. Avevano anche incominciato a costruire qualche base militare: nel Corno d’Africa e nello Sri Lanka.

Passato il pericolo – dipende da come e da quando – come reagiranno i partner all’espansionismo cinese? Saranno ancora così amichevoli verso un paese che produce virus? Non per colpa dei cinesi come persone ma della rapidità della modernizzazione a tappe forzate di 1,3 miliardi di esseri umani, che mette sotto stress tutto ciò che tocca e che produce; che stravolge la natura e i suoi frutti. Alla fine degli anni ’90 andai a Wuhan per visitare la diga delle Tre Gole, a due ore e mezzo d’auto dalla città. Dall’alto di una collina, il cantiere era impressionante per il numero di persone che vi lavoravano, l’enormità del progetto, la quantità di terra spostata e di esseri umani trasferiti. Quanto sopporta la natura prima di ribellarsi con mutamenti climatici, disastri e virus?

L’epoca dei social e della globalizzazione rende difficile nascondere il virus nei paesi autoritari. Prima che Xi decidesse il contrario, anche per il corona il partito aveva incominciato nel peggiore dei modi. Aggiungendo le ambizioni democratiche di Hong Kong e Taiwan, come reagiranno i cinesi della terraferma dopo il terremoto del virus? E se scoppiasse un focolaio anche a Mosca? Sarebbe come in Iran, dove il potere e l’Islam, e non la salute della gente, sono state le prime preoccupazioni del regime.

Essendo apolitico, il virus ha una potenzialità geopolitica oltre le ideologie degli uomini. E’ pericoloso per le dittature e le democrazie. Se le società civili di queste ultime, poco propense a dominare le paure in momenti di crisi, ritenessero che i loro governi non controllano l’epidemia, con la malattia crescerebbero le crisi politiche.

Se il virus fosse rafforzato da un crollo economico, assisteremmo a una crescita dei populismi e dei nazionalismi più rapida di quanto stia accadendo ora. Il numero dei muri crescerebbe con la diffusione del virus, diventato il nuovo e forse più decisivo banco di prova per la Ue. Se una volta di più prevalessero burocrazia, esigenze dei bilanci ed egoismo dei paesi più immuni verso quelli più contagiati, sarebbe la morte dell’Unione.

E dall’altra parte dell’Atlantico cosa accadrebbe alla superpotenza globale già in fase di ritiro da molte aree del mondo, indebolita da una presidenza e una corsa alla nomination democratica ridicole? I pochi malati di coronavirus degli Stati Uniti si sono visti recapitare in ospedale, parcelle da quasi 2mila dollari. Se diventeranno migliaia, la gran parte dei quali non miliardari e privi di un sistema sanitario decente, come reagiranno?  “Se sentite dei colpi, non sono l’inizio di una rivoluzione ma quelli delle massaie americane che battono i loro tappeti”, scriveva dopo la grande crisi del ’29 il giornalista Walt Lippmann, per spiegare quanto gli Stati Uniti fossero lontani da tentazioni rivoluzionarie. Può sempre esserci un inizio.

Mi accorgo di essere troppo pessimista. Con i primi caldi il coronavirus sparirà e il prossimo inverno avremo l’antidoto. Ci passerà ogni paura e il nostro caro, vecchio mondo resterà come lo conosciamo. Con Erdogan, Bashar Assad e Putin; gli ayatollah di Teheran, Bibi Netanyahu ed Hezbollah; l’espansionismo di Xi, il nazionalismo hindu di Modi, il reazionario Donald Trump e/o il rivoluzionario ottuagenario Bernie Sanders. Siamo in una botte di ferro.

 

http://www.ispionline.it/it/slownews-ispi/

 

 

Allego alcuni articoli apparsi questa settimana sul Sole e sul sito di Ispi

 

https://www.ilsole24ore.com/art/morto-mubarak-faraone-volto-umano-a-posteriori-ACBTzqLB?fromSearch

 

https://www.ilsole24ore.com/art/lo-zar-dell-economia-l-india-apre-porta-imprese-italiane-AC1midLB?fromSearch

 

https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/india-trump-da-modi-nazionalismi-confronto-25179

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