La democrazia nel mondo è in apparente lenta ritirata e l’autoritarismo sempre più diffuso. Non è una grande scoperta, in Italia basta leggere le pagine di politica interna nei quotidiani: dietro l’insopportabile cicaleccio, il trend nazional-populista è evidente.
E’ tuttavia interessante scoprire che il fenomeno non appartiene più ai paesi più poveri o in via di sviluppo: “Molte delle democrazie che attualmente sembrano essere alle soglie della transizione verso la dittatura, sono in Europa”. I tradizionali modelli illiberali come il partito-stato cinese o le dittature militari tipo Egitto di al-Sisi, sono ormai una rarità. E’ invece in crescita il genere di dittatura personalistica pseudo-democratica. Lo scrive Erika Frantz che insegna scienze politiche alla Michigan State University, autrice di un breve saggio molto utile: “Authoritarianism – What Everyone Needs to Know” (Oxford University Press, 2018). Anche l’autorevole Martin Wolf ne ha scritto sul Financial Times.
I nuovi modelli illiberali sono il russo Putin, il turco Recep Erdogan, il filippino Rodrigo Duterte, l’ungherese Viktor Orbàn e, ultimo arrivato, il brasiliano Jair Bolsonaro. Conquistato il potere con gli strumenti elettorali della democrazia – e un grande uso dei social e delle false notizie sul web – erodono il sistema liberale dall’interno. La modifica delle regole, la pressione poliziesca sulle opposizioni e la stampa libera, una narrativa falsificata e la frode alle urne, permettono di vincere le elezioni successive. Sulla scorta di questa legittimazione, le regole vengono cambiate ancora più sensibilmente fino a che della originale democrazia non resta più niente, a parte il nome.
Basta trovare un nemico che minacci la stabilità e il benessere del paese: il terrorismo, gli immigrati, l’Unione europea, la grande finanza e i saggi di Sion. Ed ecco quella che Orban definisce “democrazia illiberale”: un falso d’autore. Una democrazia non può essere illiberale, il sistema è una cosa o l’altra. E’ come il “fascista liberale” che nel suo piccolo Alessandro Di Battista ha usato per legittimare le imbarazzanti convinzioni politiche del padre.
Una volta al potere, spiega Erika Frantz, il leader autoritario crea un circolo ristretto di persone profondamente leali che vengono sistemate nelle posizioni strategiche del sistema; da’ vita a un movimento politico che sostituisce le forme tradizionali di partito; si serve del referendum popolare che confermi le scelte politiche compiute; crea un apparato di sicurezza nazionale leale. Prima delle finanze, dell’economia o della politica estera, il leader autoritario s’impossessa del ministero degli Interni.
A questo punto è un gioco da ragazzi accusare d’incompetenza e corruzione le élite che avevano governato prima. Se l’economia entra in recessione, la colpa è dei governi precedenti, anche se con loro la crescita si ripeteva un trimestre dopo l’altro. Per avere credibilità bisogna prima minare quella dei “vecchi media”, controllare il web sul quale nessuno chiede la fonte di una notizia, sfruttare il risentimento popolare e minare la nozione della verità
L’ “autoritario democratico” non si presenta in divisa e stivali come Mussolini e Hitler: magari in qualche occasione indossa la giacca a vento di un corpo della sicurezza dello stato ma niente di più. Contro gli oppositori non fa uso della violenza perché il suo manganello è la manipolazione della verità. Il suo consenso non richiede adunate di massa ma l’acquiescenza ottenuta con l’uso propagandistico del web.
E’ tuttavia possibile che si serva di piazza e balcone per annunciare cose come la “fine della povertà”, garantita dalla “manovra economica del popolo”. E’ evidente che il passo successivo sia dichiarare “nemico del popolo” chiunque critichi quella manovra.
Ma non tutto è perduto. La grande debolezza dei populisti illiberali è di promettere troppo e prima o poi di essere scoperti dai loro sostenitori. A causa della riforma sulle pensioni, in Russia il granitico consenso di Putin è sceso al 34%. Contro l’opacità e la voracità dei Big Tech – alleati a volte inconsapevoli, più spesso consapevoli dei regimi illiberali – l’Europa ha creato la General Data Protection Regulation. Anche lo stato della California ha votato una legge piuttosto dura sulla privacy, che entrerà in vigore l’anno prossimo: sempre che i lobbisti della new economy, più arroganti dei vecchi padroni delle ferriere del XIX secolo, non riescano a fermarla.
I recenti scandali sulla manipolazione dei dati e sulla privacy, che hanno coinvolto Mark Zuckerberg, hanno svegliato milioni di utenti dal torpore delle false notizie di Internet e dato una nuova credibilità al giornalismo tradizionale. Secondo un sondaggio dell’agenzia di consultancy Edelman, il 65% degli americani e degli europei dice di fidarsi del giornalismo tradizionale: il doppio di chi crede ancora ai social media. E il 73% pensa che le fake news siano un pericolo per la democrazia.
In Ungheria sembra che dopo le prossime elezioni europee Victor Orbàn non formerà un gruppo parlamentare sovranista con Matteo Salvini e Marine Le Pen. Fatti due calcoli su quanto contino i fondi Ue, ha capito che è più conveniente restare nel gruppo dei Popolari. Toccando ferro, legno e tutto ciò che può servire alla causa, sembra quasi l’inizio della riscossa della democrazia.
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