“Crowdfunding: un modo possibile per finanziare il giornalismo”; “Data visualization: the beautiful new frontier”, “Data journalism per piccole newsrooms”, “Video e mobile journalism crossmediale”, “Come trovare i finanziamenti per le tue inchieste giornalistiche”, “Twitter: la scoperta, la cura e la verifica dei contenuti”, ”Ottenere dati attraverso l’aerografia”. Perfino “Kapuscinski reloaded: quando l’innovazione abbraccia il reportage”.
Suppongo che ai lettori e ai giornalisti tradizionali della carta tutto questo dica poco. Anche a me, facendo parte di questa categoria. Almeno prima di studiare. Ma sono alcuni dei temi sviluppati negli incontri del Festival internazionale dei giornalismo di Perugia. Ridotti per numero i vecchi tromboni del giornalismo, quest’anno si è badato alla sostanza. L’elenco citato poco sopra è praticamente il meccano del giornalismo moderno, il vocabolario e la pratica dei più giovani di questa categoria professionale in radicale mutamento.
Ci sono i giornalisti pre-pensionandi come me, alla fine fortunati; c’è la più sfortunata generazione di mezzo che, come il popolo d’Israele, ha attraversato a piedi il Mar Rosso ma si perderà nel deserto senza vedere la terra promessa della rinascita del giornalismo; e c’è una nuova generazione di studenti delle scuole di giornalismo e di giovani professionisti che invece saranno i protagonisti di un nuovo, eccitante secolo di buon giornalismo. Per invidia senile non lo vogliamo ammettere, ma probabilmente faranno di nuovo grande giornalismo.
La crisi di modello di business del giornalismo occidentale è profondissima. Ieri Margareth Sullivan, public editor del New York Times, diceva che “non sappiamo dove stiamo andando”. Nessuno ha ancora inventato la formula per fare di nuovo dei media un’industria dalle uova d’oro. “Ma ciò che sappiamo –aggiungeva – è che non torneremo indietro”. Ai giovani professionisti e aspiranti basta questa ultima parte della riflessione: indietro non si torna e presto i modi per fare buon giornalismo guadagnandoci anche da vivere, saranno trovati. Già ci sono in verità.
Lo sospettavo. Ma dopo una full immersion di alcuni giorni tra loro, a Perugia, mi è definitivamente chiaro di avere molto poco da insegnare. Perché ne sanno più di me e soprattutto perché la mia esperienza professionale maturata in questi ultimi 37 anni è di relativa utilità. Anche mio padre era giornalista (si, lo ammetto, almeno all’inizio della carriera ho fatto uso di nepotismo). Ma la differenza fra come lui praticava la professione e come l’ho fatta io, è minima. Fra me e i giovani che incominciano adesso c’è un abisso di differenze: loro stanno reinventando una professione.
E’ ovvio che ci siano alcuni valori immutabili. Li ha ricordati ancora Margareth Sullivan: l’integrità professionale e l’accuratezza della politica. Poiché nel giornalismo italiano questi non sono proprio dei pilastri, sono convinto che questa nuova generazione passata per Perugia, li saprà praticare meglio della mia. In quattro giorni di Festival del giornalismo non li ho sentiti parlare una sola volta della movimentata vicenda del Corriere della Sera, dei banchieri, dei finanzieri e degli imprenditori, editori per caso, che come dei trangugia e divora stanno da tempo dilaniando il più grande giornale italiano.
Perché i potenti con i quali si confronterà questa generazione non sono loro. Non ci saranno più guerre per la conquista di un giornale perché i giornali non saranno più quello strumento di potere che pensano di essere ancora oggi. La collaborazione o lo scontro fra libertà di stampa e potere si sta già giocando con Google, con Amazon, con Mark Zuckerberg che ha poco più della loro età e con Jack Dorsey presidente di Twitter. Sono l’imprenditoria smart e simpatica, come ricorda con qualche preoccupazione Anna Masera, responsabile della comunicazione della Camera dei deputati. Il passaggio ieri a Perugia di Richard Gingras, direttore delle news e dei socal productis di Google, ne è stata una prova: sveglio, preciso, innovativo, distruttivo e creativo.
Ma se posso permettermi di dare ai ragazzi del Festival un consiglio, nonostante l’evidenza della mia inutilità, è di alzare la guardia sin da subito. Ascoltando anche io con attenzione Gingras, da vecchio giornalista sono convinto di aver trovato in lui qualche traccia dei miei trangugia e divora.