Piena per ora di verità assolute e propositi bellicosi, più che di atti concreti, come la prima Crociata davanti alle mura di Gerusalemme la grande sforbiciata renziana ha raggiunto i contrafforti della Farnesina. Si riducano ambasciate e stipendi, si prepensionino ambasciatori, si taglino indennità e benefici. Meno feluche e largo ai giovani. “Deus vult”, aveva già gridato Urbano II a Clermont, nel 1095.
Come ogni palazzo del potere, anche il ministero degli Esteri merita un’attenta ecografia amministrativa. Sicuramente ci sono sprechi, sicuramente ci sono stipendi e indennità che gridano vendetta in cielo. Ovviamente ci sono diplomatici ben nati e figli di nessuno. Essendo la parte del Paese che più si confronta col mondo fuori dal nostro cicaleccio politico, i diplomatici italiani lo sanno bene.
Alla Farnesina c’è anche un sistema di cooptazione che andrebbe rivisto e reso più moderno. L’esame di Stato che seleziona i giovani diplomatici è piuttosto mnemonico e obsoleto. Il periodo iniziale che, una volta selezionati, i ragazzi devono fare al ministero in attesa del primo incarico all’estero, sembra una moderata caienna. Non mi è mai capitato di sentire uno di loro finalmente a lavorare sul campo, che ne avesse un buon ricordo. E’ una specie di full immersion nella burocrazia del Mae (il ministero degli affari esteri), studiata per educare alla disciplina del grigiore e demotivare l’iniziativa.
C’è qualcosa che tuttavia non mi convince della sforbiciata. Mi è rimasto impresso un passaggio dell’articolo pieno di cifre e di paragoni internazionali persuasivi, scritto dal professor Roberto Perotti sul nostro giornale il 23 marzo: “Per ogni feluca che decide di andare in pensione anticipatamente – scrive il docente della Bocconi – ci sono almeno cento giovani dinamici e preparati che parlano tre lingue e sarebbero felicissimi di rappresentare l’Italia per 5mila euro al mese”.
Certo è un’affermazione d’effetto. Ma la trovo superficiale e offensiva. Sarebbe piaciuta a Pol Pot. Per quanto attivi e poliglotta, quei giovani non avranno mai le qualità e l’esperienza di un diplomatico maturo. Globalizzazione e web cambiano anche il mestiere dell’ambasciatore ma non mi pare che americani o inglesi, i quali ingiustamente guadagnano meno di alcuni nostri tromboni, abbiano sostituito i loro diplomatici di carriera con una falange di neolaureati di Harvard o i boy scouts cari a George Bernard Shaw. In alcune sedi il presidente degli Stati Uniti manda abili uomini d’affari che avevano finanziato la sua campagna elettorale. Ma solo nelle sedi minori, come Roma. Le mediazioni e le politiche (Medio Oriente, Ucraina, accordi commerciali, promozione all’estero dell’industria nazionale) le fanno ancora le feluche.
Come ho detto, abbiamo un bel gruppo di ambasciatori mediocri e ben pagati. Li ho conosciuti. Ho conosciuto anche molti professionisti appassionati del loro lavoro, che si arrampicano sugli specchi per tenere il nome del loro Paese più in alto di quanto sia e meriti: mentitori per sincero patriottismo. Diplomatici che sbarcano il lunario con indennità già sforbiciate, con le quali devono mantenere, a volte ristrutturare, residenze che sono come i nostri aeroporti e gli Airbus dell’Alitalia: piaccia o non piaccia, la prima idea di Italia che si fanno gli stranieri.
Quanti anni hanno il rettore della Bocconi, il capo di stato maggiore delle forze armate, il direttore del Corriere, il procuratore capo della repubblica di Milano? Il sindaco Giuliano Pisapia non è più un ragazzo ma continuo a preferire quel “vecc barbogia” alle idee xenofobe del giovane Salvini.
Federica Mogherini “studia i dossier” e comprensibilmente deve farsi ossa diplomatiche più solide. Ma mi sembra più preoccupata di non sbagliare che di definire politiche: forse l’esperienza di Emma Bonino sarebbe stata più utile almeno fino alla fine del semestre italiano alla Ue. L’idea dei cento giovani affamati di Perotti è un utile sasso nello stagno che tuttavia andrebbe perfezionato così: una feluca, due diplomatici esperti e cinque giovani in ogni ambasciata italiana, se ci sono le coperture. Per dire di un continente a caso proiettato sul futuro, l’Africa sub-sahariana, noi abbiamo 19 ambasciate. I francesi 44, la Germania 39, gli inglesi 33, il Brasile 32, la Turchia 30. La Danimarca, finalmente, solo 11.
Ma anche se potesse essere interamente sodisfatto il consiglio di Perotti, saremmo dei Robin Hood solo a metà. Per parlare tre lingue, essere preparati e aver sviluppato la coscienza civile per voler rappresentare il loro Paese, nel mondo globalizzato dove la distribuzione della ricchezza è così diseguale, quei cento giovani devono avere avuto genitori benestanti.