La prima volta che andai in Israele per fare il volontario in un kibbutz, ero pieno di ottimismo: sarebbe mancato il contrario, avevo 20 anni!
Volevo fare quell’esperienza per una ragione fondamentale: crocianamente cristiano, europeo e convinto europeista, nato un decennio dopo la fine dell’Olocausto, sentivo il bisogno di dare un segno di solidarietà verso il rifugio degli ebrei. E – per quanto fosse possibile – un gesto di espiazione per le colpe dei miei padri, cristiani ed europei, che solo pochi anni prima avevano ucciso 6 milioni di cittadini europei come loro ma di religione ebraica.
Il mio ottimismo consisteva nel fatto che pensavo di mettere le cose in pari col passato, non di dover giustificare il presente: l’antisemitismo, cioè, era un cancro che l’Europa e l’Italia avevano estirpato e mai più sarebbe riapparso. Mai più avremmo dimenticato e mai avremmo dovuto istituire una giornata della memoria per ricordare.
Poi un giorno andai a trovare Sergio Della Pergola che allora non era ancora uno dei massimi demografi mondiali ma solo un giovane assistente all’Università Ebraica di Gerusalemme. Aveva lasciato Milano e con Miriam, sua moglie, aveva fatto aliyah, era “salito” in Israele.
Gli chiesi perché avesse rinunciato a una vita agiata per vivere in un Paese così geopoliticamente pericoloso, per passare una importante parte della sua vita con una divisa militare e garantire lo stesso destino ai figli che sarebbero venuti: sono venuti infatti, quattro, e tutti hanno fatto il militare come ogni altro israeliano. La sua risposta non l’ho mai dimenticata. “Me ne sono andato perché l’antisemitismo in Italia esiste ancora e forse ci sarà sempre”, mi disse.
Evidentemente la risposta di Sergio mi è venuta in mente di nuovo ieri, leggendo delle tre teste di maiale spedite alla sinagoga di Roma, al museo e all’ambasciata d’Israele; delle scritte sui muri del terzo municipio di Roma secondo le quali Anna Frank sarebbe una “bugiardona”. Mi piacerebbe dire che solo dei cretini possono fare e dire cose simili ma sarebbe riduttivo: come quando, andando nel kibbutz, pensavo di chiudere i conti solo con il passato. Chi le ha fatte è sempre un cretino ma dalle potenzialità molto pericolose. Qualcuno in questi giorni ha detto che chi nega l’Olocausto è pronto a farne un altro.
A Roma c’è un tasso intollerabile di fascisti, per essere la capitale italiana e una metropoli europea. Vicino a dove vivo, qualcuno ha scritto su un muro: “Questo è un quartiere fascista” e nessuno l’ha ancora cancellato. A Milano, che è la mia città, non accadrebbe. Ma, mi chiedo, se Matteo Salvini non avesse sottomano Cécile Kyenge, non direbbe agli ebrei le stesse cose che rabbiosamente grida contro i neri e i migranti? Noi italiano e/o milanesi non illudiamoci di essere migliori: il nostro non è un Paese meno razzista degli altri in Europa. E’ bastato che arrivasse un numero d’immigrati di gran lunga inferiore a quelli che vivono in Francia, Inghilterra e Germania, per far uscire il peggio dalle nostre viscere .
Agli ebrei che sostengono l’esistenza di un istinto antisemita dell’Europa –a volte condizionati dalla scelta politica della Ue, che io condivido, di opporsi all’occupazione israeliana dei Territori palestinesi – ho sempre contrapposto un fatto. Dal 1945 non è mai più esistito governo europeo che abbia applicato politiche razziste e antisemite. Ma sarà ancora così chiaro dopo le prossime elezioni europee? Il Parlamento di Strasburgo non determina governi nazionali ma la prospettata vittoria dell’Europa peggiore, quali effetti avrà sui singoli governi dell’Unione?
Con tutto il rispetto per Israele e per chi prende la difficile scelta di fare aliyah, ogni volta che un ebreo d’Europa decide di emigrare è una nostra sconfitta. Di noi europei e dell’ideale magnifico che pensiamo sia compiuto. A ben guardare, anche istituire nel calendario una giornata ufficiale della Memoria, è una forma di sconfitta. Una specie di sveglia che puntiamo una volta l’anno per scuotere le nostre coscienze dormienti e smemorate.