“Il Sole-24 Ore”,26/1/2013
L’Egitto celebra i suoi primi due anni di libertà mettendo di nuovo a ferro e fuoco piazza Tahrir. Manifestazioni e scontri anche ad Alessandria e in molte altre città. Hisham Qandil non sembra preoccupato: “Occorrono 8/10 anni per stabilizzare una rivoluzione come la nostra”, spiega. A 51 anni, ingegnere con laurea all’Università statale del North Carolina, Qandil è il più giovane primo ministro d’Egitto dai tempi di Nasser.
E’ curioso che il premier venuto dai Fratelli musulmani festeggi l’anniversario della rivolta a Davos, fra i managers e gli investitori del capitalismo occidentale, e non al Cairo. “Perché qui sono più utile all’Egitto, il World Economic Forum è la migliore finestra sul mondo per spiegare le nostre necessità. Qui ci sono gli affari, qui c’è il denaro per gli investimenti che ci servono”. Un road show, isomma. “Pane, libertà, giustizia sociale e dignità umana, erano gli slogan della rivoluzione di piazza Tahrir”, aggiunge Qandil. “Sono qui per quello”. Da due giorni staziona nei corridoi del vertice, stringe mani, incontra personalità. Colloqui “molto businesslike”, spiega. Ieri ha incrociato Ehud Barak, ministro uscente della Difesa israeliana: non si sono nemmeno scrutati.
Invece con Christine Lagarde, direttore del Fondo monetario, c’è stato un incontro lungo e fruttuoso. Si è parlato di soldi: il prestito da 4,8 miliardi di dollari in discussione da mesi, interrotto causa elezioni presidenziali e non più ripreso concretamente. “Fra due settimane una delegazione del Fondo sarà di nuovo al Cairo”, precisa Qandil. “Un altro paio di settimane di trattativa, poi i tempi tecnici necessari. Credo che entro cinque-sei settimane il prestito potrà essere disponibile”.
Pericolosamente vicino alle nuove elezioni parlamentari. In cambio del credito l’Fmi chiede importanti e gravose riforme economiche. La trattativa sul prestito era stata interrotta perché sarebbe stato impopolare, durante il referendum nazionale sulla Costituzione, iniziare a tagliare i sussidi al carburante e al grano, applicare nuove tasse e aumentare quelle esistenti. Il problema è che nel suo perenne cammino verso la stabilità, fra due mesi l’Egitto vota di nuovo per il parlamento. Come farà Qandli, che da premier è il responsabile dell’economia per conto del presidente Mohamed Morsi, ad accontentare Christine Lagarde e contemporaneamente gli elettori egiziani?
“Ci sono riforme che possono essere fatte
prima delle elezioni, come il taglio dei sussidi sul gasolio. E altre che
possono essere rinviate a dopo il voto”, spiega Qandil con un sorriso. La sua
franchezza e il modo di arrivare direttamente al punto, ha colpito gli
interlocutori. Stupito, uno dei responsabili del Forum che lo accompagna, lo
paragona a Mario Monti. “Sono tutti così i Fratelli musulmani?” chiede un
investitore che qui a Davos aveva discusso e fatto affari solo con i tecnocrati
del figlio di Mubarak. “Francamente non vedo differenze”.
Prima di incontrare Qandil, qualcuno era convinto
che l’Islam economico fosse una specie di pauperismo religioso. Il giorno prima
di venire a Davos, il primo ministro aveva approvato l’emissione di zakat
internazionali, i certificati d’investimento conformi alla legge islamica che
proibisce l’interesse. I saggi dell’Università islamica di al-Azhar hanno
qualche dubbio che i codici della fede siano rispettati. Per gli economisti
laici egiziani invece, è “finanza da XIX secolo”. Ma con queste obbligazioni
Qandil conta di raccogliere altri 10 miliardi di dollari.
A due anni dall’inizio, le Primavere arabe
sono altamente incomplete e sollevano preoccupazioni. “In Giordania puntiamo
all’evoluzione, non alla rivoluzione”, spiega a Davos re Abdullah. Ma di
un’altra rivoluzione, la siriana, la Giordania povera di risorse sta sostenendo
300mila profughi. Anche Amre Mussa, ex
candidato laico alla presidenza dell’Egitto e uno dei leader dell’opposizione
alla fratellanza, è al Forum per spiegare il quantum di libertà economiche e
politiche fin ora raggiunto dalle Primavere. “Forse Qandil ha ragione per la
stabilizzazione politica”, dice. “Ma per quella sociale ed economica 8/10 anni
sono troppi. In Egitto non abbiamo tutto questo tempo, il Paese sta esplodendo”.