Tornare a New York significa prima di tutto ritrovare quel malloppo dal magnifico profumo di carta e inchiostro chiamato “Edizione della domenica del New York Times”. Lo avevo già nell’iPad in abbonamento. Ma riavere fra le mani quella montagna d’inserti piena di notizie, storie, approfondimenti di prima qualità, è stato come cedere al richiamo primordiale del giornalista del XX secolo: un animale in via di estinzione insieme al suo prodotto cartaceo, come l’uomo di Neanderthal e la sua clava.
Un’altra categoria non prossima a scomparire ma di sicuro in crisi in quest’America sotto elezioni, è la middle class, quell’insieme socio-economico che ha prodotto il miracolo americano. Barack Obama e Mitt Romney stanno viaggiando come forsennati negli Stati in bilico alla caccia di quegli elettori per una vittoria che martedì non sarà facile per nessuno raggiungere.
La classe media sta all’America come a Roma lo erano i legionari e i popoli fedeli che dopo aver contribuito a costruire l’impero, rivendicavano il diritto di chiamarsi Civis Romanus. Il borghese moderno è un cittadino urbano per definizione e negli Stati Uniti le cento aree metropolitane più grandi ospitano due terzi della popolazione e garantiscono più di tre quarti del prodotto nazionale.
Civis Americanus per esempio è Frank Firetti: suo nonno era arrivato a Ellis Island in nave dall’Italia e meno di una generazione più tardi i Firetti erano diventati classe media. Sal, il padre di Frank, poteva aggirarsi fra le scrivanie di ognuna delle cinque piccole start up create nella sua vita, con una camicia hawaiana: da queste parti un simbolo di benessere. Ma ciò che fa di Frank, di Manassas Virginia, un Cittadino Americano, è essere un commesso viaggiatore.
“In un Paese costruito sull’ottimismo – scriveva qualche tempo fa il “Washington Post”, raccontando la storia dei Firetti, “il più ottimista di tutti è l’American salesman: se non l’architetto del sogno americano, per lo meno il suo più onorato promoter. Dalla fondazione del Pese ha saputo penetrare sempre di più nell’anima della gente come lui, scalare le fantasie, la forza di volontà, il capitalismo”. Con il vecchio Sal, Frank ha fondato la Blue Haven Pools franchise, e bussa alle porte della Virginia proponendo di vendere piscine da giardino, jacuzzi e saune. Non è un business facile di questi tempi.
La classe media alla quale i Firetti
appartengono, vendendole i loro prodotti – le piscine da ricchi non rientrano
nel catalogo della Blue Haven – diventa sempre più povera e incapace di dare ai
figli quel che ha avuto dai padri. Come dice la Brookings Institutions, “la
concentrazione della ricchezza negli Stati Uniti ha raggiunto livelli che non
si vedevano dalla fine degli anni Venti”. Il reddito dell’1% più ricco è aumentato
del 275% fra il 1979 e il 2007; quello del 20% più povero del 18. Gallup ha
scoperto che ormai solo il 44% degli americani pensa che la prossima
generazione avrà una vita migliore dei loro genitori: mai così pochi dal 1983.
Nonostante questi dati, Mitt Romney continua
a proporre la formula dei ricchi come lui che non devono essere tassati perché
così investiranno di più per il benessere di tutti. Come no? Si è visto in
questi anni a quale altruismo li ha spinti l’inebriante sensazione di aver
sconfitto il comunismo e non avere più ostacoli. “Non è una politica nuova, è
la stessa della quale siamo stati vittime per otto anni” (l’amministrazione
Bush), diceva ieri in Iowa Barack Obama.
Così la campagna si è trasformata in un
confronto ideologico da vecchi tempi dando a Obama il ruolo del comunista e a
Romney quello del salvatore dei veri valori americani. Leggo fra i miei ritagli
cartacei quello che Mark Lilla scrive sul “Times”: “C’era una volta un
presidente radicale che cercò di rifare la società americana attraverso le
azioni del governo. Nel suo primo mandato creò una vasta rete di garanzie
federali per promuovere programmi sociali da miliardi di dollari. Cercò di
stabilire un reddito minimo garantito per le famiglie e propose un piano
nazionale sanitario che garantisse assicurazioni governative per i più poveri;
impose ai datori di lavoro di estenderle a tutti i loro dipendenti. Fortunatamente
per il Paese, il suo secondo mandato fu interrotto e il suo sogno collettivista
non fu mai realizzato. Quel presidente si chiamava Richard Nixon”.
Seduto a un tavolino di Starbucks, bevendo “Solo”,
la loro versione di espresso ristretto (continuo a chiedermi perché l’idea sia
venuta a un gruppo di ragazzi di Seattle e non di Napoli. Ma questa è un’altra
storia) tra poco chiuderò il computer e mi rimetterò a leggere la montagna di
carta, piombo e inchiostro del “Times”. E’ una giornata di sole spettacolare a
New York e martedì, il giorno del voto, dovrebbe fare freddo. Dopo tante campagne
elettorali seguite per il mio giornale, ora lo faccio per conto mio, da blogger.
Nella vita non occorre molto per sentirsi ogni tanto felici.
P.s.
Approfittando di essere a New York in questi giorni elettorali, intensificherò
i post di Slow News. Mi scuso in anticipo con i lettori.