Alessandro Di Maio, un giovane free lance che vive a Gerusalemme collaborando per Libero e varie testate europee, mi fa notare di aver pubblicato una sua foto. E’ quella che correda e completa il mio post di un paio di settimane fa, “Attenzione, pericolo imminente”, dedicato alla crisi economica palestinese. L’avevo trovata e scelta fra le mille immagini di Google, cliccando “Palestinian economy”.
Avendogli rubato una sua proprietà intellettuale, Alessandro rivendica di essere pagato: un tè e una chiacchierata la prossima volta che passo da Gerusalemme, è la sua proposta. Ho rilanciato: se viene a Milano gli offro un risotto giallo; se passa per Roma una cofana di amatriciana.
Il “contenzioso” fra Alessandro e me è un piccolo ma significativo esempio di quello che accade nel mondo dei media e più in generale delle idee (cioè degli intellettuali ma detesto questa definizione). Quando ho fatto la mia ricerca su Google, la foto di Alessandro che potete ritrovare con molte altre nel suo sito, www.alessandrodimaio.com, non portava la sua firma. Né la gran parte delle altre avevano un autore: di 40 che ne ho aperte per verificare, solo una portava la firma. Semplicemente rapite e masticate dalla rete che, come la gobalizzazione, sarebbe una bella cosa se non venisse malamente sfruttata dall’avidità e la noncuranza degli uomini. Spesso accade che anche nei giornali, sotto la foto non ci sia la firma dell’autore o la sigla dell’agenzia per la quale il fotografo lavora.
Il risultato finale è che chi ha l’idea e la capacità per fare una buona foto non ottiene nulla in cambio del suo lavoro e del suo tempo: non la soddisfazione del nome pubblicato sotto lo scatto, tantomeno il denaro. E’ sempre più diffusa la convinzione che le idee e il tempo necessario per esprimerle siano gratis. Sono spesso invitato a dibattiti e convegni, sovente mi viene chiesto un testo scritto. Non accade quasi mai che in cambio mi si offra un compenso economico. Non fanno nemmeno più il gesto di mettere mano al portafogli: “Dottore, cosa le dobbiamo?”. “Ma no, la prego, è stato un onore accettare il vostro invito”. Niente di tutto questo: si da’ per scontato che le mie idee e il mio tempo siano gratis; che le foto di un buon reporter possano essere prese senza nemmeno un grazie.
Non è una questione di soldi o di cachet – in realtà per un giovane che non ha un lavoro come me, lo è eccome – ma di principio e, in fondo, di giustizia.
Ai miei interlocutori che chiedono senza dare o pensando che offrirti di fare qualcosa per loro sia già un onorevole compenso, racconto la parabola dell’idraulico. Lo sciacquone del mio bagno non funziona. Chiamo il “pluber” (el tumbee, a Milano) e lui mi dice: “dutur, il suo sciacquone funziona benissimo, è lei che non lo sa usare”. Fanno comunque 50 euro per l’uscita, a volte già 75. Se invece lo sciacquone è davvero rotto, partiamo dalle 250 più sostituzione del pezzo.
Ora, so che un giornalista e un fotografo non sono necessari alla società quanto un idraulico. Ma qualcosa varranno, no? Come si formano bravi fotografi e bravi giornalisti fra i giovani se fino a 40 anni e oltre, non avranno quasi mai la soddisfazione di un compenso. Il denaro non è tutto, ha ancora il coraggio di dire qualche cretino che il denaro lo ha. Ma guadagnarlo è il dignitoso segno di una carriera professionale.