Non è chiaro come andrà a finire in Siria, forse il gioiello più prezioso del loro grande disegno mediorientale. Intanto sauditi ed emiri del Golfo si organizzano per il compito che il Destino, Dio, il Caso o più semplicemente la loro ambizione politica, li sta chiamando a eseguire.
A dicembre il GCC, il Consiglio di Cooperazione del Golfo al quale aderiscono tutti i Paesi della penisola – Arabia Saudita, Kuwait, Bahrain, Qatar, Emirati e Oman – terrà un vertice che forse sarà storico. Sauditi e Bahrain annunceranno la loro unificazione. Ognuno dei due Paesi manterrà la sua sovranità ma unirà sotto la stessa guida, cioè la saudita, politica estera, sicurezza, forze armate ed economia. Se si realizzerà, sarà il primo passo di un piano più ambizioso: trasformare in una vera Unione araba un consiglio di ricchi petrolieri, piuttosto gelosi, sospettosi gli uni degli altri, fino ad ora incapaci di dare alla regione una moneta unica. L’ambizione è allargare la nuova entità a Giordania e Marocco. Sono due regni poveri, il Marocco è anche piuttosto distante. Ma il denaro fa miracoli.
Quello che hanno in mente, soprattutto i sauditi, è molto più di una nuova entità geo-strategico-economica araba. E’ una risposta alle Primavere arabe. Meglio, il riorientamento e il controllo delle confuse spinte popolari delle Primavere (uso la definizione stagionale giusto per brevità: nell’accezione comune, Primavere indica tutto quello che sta accadendo dalla Tunisia in poi). In parole più semplici: il Congresso di Vienna arabo.
Nei primi mesi dell’anno scorso, appena i sommovimenti popolari arabi sfiorarono l’Arabia Saudita, il Consiglio religioso degli esperti anziani emise una fatwa: le proteste, diceva, erano “non islamiche”. La fede “le proibisce assolutamente nel Regno poiché il sovrano governa per volontà di Dio”. Gli altri emiri non arrivano a una interpretazione così assolutistica del loro potere; qualcuno come kuwaitiani e Qatar, hanno fatto prove concrete di democrazia. Ma nessuno di loro accetterebbe di mettere in discussione il loro potere.
Se guardiamo le Primavere dal loro inizio, scopriamo che i protagonisti non sono le vecchie potenze: Usa, Russia, Europa, Cina. Ma Arabia Saudita e Qatar, i motori del grande disegno arabo al quale gli altri emiri si sono uniti contribuendo militarmente o col denaro. Passata l’ondata delle proteste di piazza, in Tunisia ed Egitto sono stati loro a finanziare i Fratelli musulmani ed ora quel poco di ripresa economica in corso. In Libia hanno prima appaltato i bombardamenti, poi la ricostruzione. In Siria se i ribelli avessero aspettato Usa ed Europa, non avrebbero mai portato il conflitto fin dentro Damasco. Lo hanno fatto col denaro del Golfo trasformato in armi.
Se nel 1815 i partecipanti al Congresso di Vienna erano monarchi cristiani, quelli del GCC sono monarchi sunniti. Il contrasto all’eccessiva democratizzazione delle Primavere è un obiettivo secondario. Il primo è impedire che gli sciiti le usino per i loro scopi. Con le minoranze sciite in Bahrain e Araba Saudita si è usata la mano pesante; in Siria è sempre più chiaro l’obiettivo di rimuovere dal potere la minoranza alawita d’ispirazione sciita. Se le cose funzioneranno, qualcosa di simile sarà applicato con Hezbollah sciita che controlla il governo libanese. L’Iraq ne trarrà le conseguenze e l’Iran tornerà ad essere solo nella regione, come ai tempi di Saddam Hussein.
Le cose non sono così semplici come le ho appena illustrate. Non lo sono mai. I Fratelli musulmani che hanno vinto in Tunisia ed Egitto, dimostrano che la democrazia non è così incompatibile con l’Islam, come sostengono i saggi sauditi. Non tutti gli emiri sono convinti di legarsi all’Arabia Saudita: un Paese troppo grande per geografia, Pil, popolazione, e troppo piccoli gli altri, perché possa nascere un’unione equilibrata. Ad eccezione del disperato re del Bahrain, gli altri emiri amano troppo la loro indipendenza. L’emiro al Thani del Qatar, per esempio, non chiuderà mai al-Jazeera come sognano i sauditi. Infine il grande regno, primo produttore di petrolio, è una gerontocrazia che rivela segni per ora tenui d’instabilità: in sei mesi sono morti due principi ereditari ottuagenari ai quali il re, più vecchio di loro, è sopravvissuto. Sono 22mila i principi della famiglia al-Saud tecnicamente titolati alla successione.
Nessun congresso di potenti alla fine ha impedito ai popoli di determinare il loro futuro. Quando però pensiamo alle insidie e alle instabilità che nascondono i sommovimenti arabi di oggi, per la cronaca è giusto ricordare che nel 1815 i restauratori di Vienna garantirono all’Europa più di 30 anni di stabilità.