Come è noto, non esiste processo di pace fra israeliani e palestinesi. Le posizioni sono troppo distanti, le ambizioni esagerate perché sia possibile credere a una ripresa del dialogo entro un ragionevole periodo. In questo vuoto che non sembra avere limiti né tempo, tuttavia, mentre i palestinesi si specchiano nel loro inutile orgoglio millenaristico, gli israeliani rafforzano l’occupazione.
In un certo senso questa parola, “occupazione”, non dovrebbe più essere usata perché non rappresenterebbe la realtà. Così dice una commissione di giudici istituita da Bibi Netanyahu per risolvere un suo problema molto serio: gli avamposti.
Nati come propaggini delle colonie esistenti, gli avamposti sono in realtà nuclei di nuovi insediamenti nei Territori occupati. Bibi dovrebbe smantellarli come chiede la comunità internazionale: in verità non vuole che siano eliminati solo quelli ma tutti gli insediamenti a Est della vecchia frontiera del 1967. Se però lo facesse, Netanyahu avrebbe serie difficoltà sul fronte interno. Quello dei coloni è un partito trasversale molto potente: ci sono ministri del governo che lo sostengono, militari, una parte consistente della lobby americana che a quattro mesi dalle elezioni ha un grande potere su Barack Obama.
Alcuni anni fa Ariel Sharon aveva incaricato la giudice Talya Sason di redigere un rapporto sugli avamposti, un centinaio circa. La Commissione Sason stabilì che prima del diritto internazionale, quelle colonie camuffate violavano le leggi israeliane. Sollecitandone lo smantellamento, il rapporto denunciava il sostegno e l’omertà dell’apparato pubblico a quell’impresa che comprometteva la corteccia morale del Paese. Fu una delle tante prove di dignità e giustizia che Israele sapeva dare anche in mezzo al conflitto, fino a qualche tempo fa.
Tranne pochi casi, gli avamposti sono ancora sulle colline della Cisgiordania. Per trovare una via d’uscita che soddisfacesse pressioni esterne e aspettative interne, anche Netanyahu ha istituito una commissione, affidandola all’ex membro della Corte suprema Edmond Levy e a un altro paio di giuristi di una certa fama. Il rapporto finale stabilisce che quella israeliana in Cisgiordania non è un’occupazione. Dunque gli avamposti sono legali e si possono allargare secondo la “naturale crescita demografica ebraica”.
Mantenendo un affetto personale verso Israele, evito i dettagli del rapporto: lo si può trovare sul Web. Il punto forte di Levy Azzeccagarbugli è che la Cisgiordania non era uno Stato quando la conquistarono gli israeliani. E’ vero: nel 1948 re Abdullah di Giordania se ne impossessò come bottino di guerra. Esattamente come una buona parte del territorio che in quello stesso anno Israele conquistò e annesse, nonostante il piano di spartizione Onu del 1947 non l’avesse assegnato allo Stato ebraico.
Toglie il fiato il modo col quale i giudici cambiano la realtà che a loro non fa comodo. Come un qualsiasi Satrapo mediorientale o Nord-coreano, riscrivono la Storia e le leggi secondo necessità. Nell’interesse di 700mila coloni, ignorano l’esistenza di 2 milioni e mezzo di palestinesi. Mai esistiti, cancellati dalla fotografia come faceva la propaganda stalinista con chi cadeva in disgrazia.
Bibi Netanyahu non è un cuor di leone: lascerà gli avamposti dove stanno ma non accoglierà le raccomandazioni della Commissione Levy. Perché perfino l’amministrazione americana troverebbe il coraggio per opporsi; perfino l’Olanda e l’Italia, anche quella del governo Monti, così comprensive verso Israele, sarebbero costrette ad allinearsi alle posizioni più critiche della Ue.
Ma se passasse l’idea di Grande Israele che sottintende il rapporto del giudice Levy, sarebbe l’inizio della fine dello Stato laico, civile e democratico di Israele. Chiudendo i palestinesi in bantustan separati per far posto a una colonizzazione senza limiti, al posto di quell’Israele incomincerebbe a prendere forma un nuovo apartheid.