Siamo abituati a pensare a Cina e India come a mercati virtuosi, a nuovi modelli di sviluppo economico. Li vediamo come Brics determinati e operosi, capaci di produrre quei tassi necessari a mantenere in positivo la crescita globale alla quale ora noi europei non contribuiamo. Ma in Asia non sono diversi da noi, non sono migliori, non stanno imparando dai nostri errori. Come noi, non sanno uscire dalla gabbia barbarica dell’umanità: ricchezza uguale geopolitica. In parole più banali: il potere delle armi.
La notizia è che l’India ha sperimentato con successo Agni 5: in hindi Agni è la divinità del fuoco. E’ un missile balistico, il primo mai avuto, con una gittata da 3.100 miglia. Gli indiani spiegano che a Ovest può arrivare fino a Tehran e a Est a Manila. Ma non sono questi gli obiettivi teorici del missile. Agni può raggiungere Pechino e Shanghai e coprire tutto il territorio cinese. E’ sbagliato pensare che nel Subcontinente la corsa al nucleare e ai missili che lo possono trasportare, sia fra India e Pakistan. A Nuova Delhi hanno sempre pensato al confronto con la Cina.
Con il 41,6% della popolazione che ancora vive sotto la linea di povertà (1,25 dollari al giorno, Banca Mondiale), l’India sente la necessità di diventare una potenza militare. L’incapacità di fare riforme impedisce all’India di produrre l’energia elettrica necessaria al suo sviluppo e il risultato è che dal 2010 a oggi la crescita scende dal 10 a meno del 7%. Noi faremmo salti mortali di gioia per una crescita del 6 ma per l’India e i suoi tassi di crescita demografica, è ai limiti della tragedia: meno persone usciranno da quella soglia di povertà. Eppure, negli ultimi cinque anni ha comprato più armi di qualsiasi altro Paese: 12,7 miliardi di dollari, il 10% del mercato globale.
Se amate l’India, il Mahatma Ghandi, la sua spiritualità, consolatevi se potere, pensando che non è la sola guerrafondaia della regione. A gennaio la Cina aveva annunciato un aumento annuale delle spese militari da 95,6 a 106 miliardi di dollari: “in linea con il suo sviluppo economico”, aveva spiegato un portavoce come per sottolineare un diritto ovvio e inalienabile. Secondo la Cia le spese saranno in realtà di 160 miliardi. Curioso che l’80% delle armi comprate dagli indiani e il 78 dai cinesi (secondo il Sipri, l’Istituto di Stoccolma dedicato alla ricerca della pace) siano di produzione russa, un altro Paese Brics: petrolio, cannoni e nient’altro.
Parliamo di fronti freddi, per il momento. In quello sempre caldo asiatico, la Corea del Nord ha appena fallito il lancio del suo primo missile balistico. Ma la casta militare ci riproverà. Una settimana dopo, al Sud ne hanno sperimentato invece con successo un altro, a più breve gittata ma capace di raggiungere ogni obiettivo del Nord confucian-comunista.
Sottinteso alle armi c’è l’Arma, il nucleare. L’Asia sta diventando un continente piuttosto affollato: Russia, Cina, India, Pakistan, Corea del Nord, forse l’Iran, Israele. E’ anche per questo che gli Stati Uniti (un bilancio per la Difesa ridotto di 13,5 miliardi di dollari per il 2013 ma pur sempre una spesa da 525,4 miliardi) stanno tagliando in tutti i continenti tranne che nell’area Asia/Pacifico.
Messi insieme, gli arsenali asiatici (forse 700 testate) restano molto lontani da quelli americani e russi di oggi (20.500). Ancora più distanti dai monumentali altari sacrificali alla Guerra Fredda in Europa (80mila solo Usa e Urss). Tuttavia allora c’era una specie di quadro politico chiamato del terrore. Le premesse non erano edificanti: era basato sull’impossibilità di distruggere l’avversario senza essere distrutti. La Mutual Assured Destruction. Ma ha funzionato. In Asia non c’è qualcosa del genere. Delle sei potenze nucleari citate in Asia, quattro sono illegali e se lo diventasse, l’Iran diventerebbe la quinta. Sfuggono tutti al già troppo inadeguato sistema di deterrenza e riduzione della proliferazione atomica, fondato sulla buona volontà dei contraenti. Avete ragione, viene da ridere anche a me. Come quando riguardo la foto dei 53 capi di governo al vertice sulla sicurezza nucleare, scattata a Seul a fine marzo, che salutano tutti con la manina.