Ci sono molti modi per raccontare un conflitto e molti per interpretare quello che di quel conflitto si racconta. Lo scontro fra israeliani e palestinesi è un’antologia della materia: della sua vicenda ricostruita da chi scrive e interpretata da chi legge. Nella mia carriera mi è capitato di scrivere su molte cose. Nessun tema quanto questo, tuttavia, ha sollevato tante risposte appassionate, protettive, di adesione, di semplice pietà o dileggio; insultanti, provocatorie, minacciose, inviti a cambiare mestiere e appelli al mio editore per licenziarmi. Da decenni nessuna tragedia provoca uguali passioni per intensità e durata.
Da molti anni (troppi, dice giustamente chi mi critica) mi occupo della tragedia fra israeliani e palestinesi. Qualcuno mi ha ufficialmente iscritto nella squadra dei filopalestinesi. Partecipando a molti dibattiti, più di una volta ho deluso chi mi aveva invitato: “…ma ci avevano detto che lei era filo palestinese…”. Tuttavia è vero: sono convinto che in questa storia ci sia un occupante e un occupato. A me sembra più una constatazione che un’opinione: si può discutere degli errori commessi dai palestinesi nell’essere ancora occupati. Ma sono occupati, appunto.
Qui però non mi interessa tanto quello che io scrivo – giudicate voi sfogliando in questo blog i post sul tema – quanto le reazioni. Ne prendo due relative all’ultimo, “Niente di nuovo sul fronte di Ramallah”. Ne ho ricevute altre per mail e moltissime in tutti questi anni. Ma quelle di Doretta e Marietta le potete leggere anche voi nei commenti al post. Rappresentano atteggiamenti molto diffusi e sintomatici delle reazioni alla narrativa del conflitto.
Doretta comprende la condizione dei palestinesi ma il senso di colpa per l’Olocausto le impedisce di prendere posizione. E’ la stessa difficoltà morale nella quale mi trovo anch’io, come europeo, cristiano, nato un decennio dopo la fine della Shoah. Però se scaricassi interamente il mio senso di colpa sulle spalle dei palestinesi, sarebbe ingiusto: antisemitismo e Olocausto sono prodotti europei. In un certo senso concreto, ne sono diventati vittime anche i palestinesi.
L’altra reazione, diversa ma ugualmente comune, sono i dilemmi di Marietta. Perché io sono così anti-israeliano? è la prima seria domanda. Ringrazio Marietta di non darmi dell’antisemita come molti altri: ma se non lo sono e contemporaneamente sono anti-israeliano, devo avere interessi “personali”. L’angoscia di Marietta arriva al culmine quando onestamente constata (grazie) che in quel post non sono nemmeno così filo-palestinese. Urca! Come è possibile?
Spieghiamo alcune delle più diffuse critiche che Marietta rappresenta. 1) Nella tragedia di quei due popoli chi critica Israele è automaticamente anti-israeliano. Come ai tempi dell’Urss. 2) Se lo sei, una ragione ci deve essere: antisemita o prezzolato (Marietta è più gentile della media). Non puoi criticare lo Stato d’Israele senza una ragione diversa da un semplice punto di vista. 3) Ma se critichi anche i palestinesi, allora che cosa sei? Questa è l’obiezione, la più frequente, che mi interessa di più perché mi fa paura: in questo conflitto stai da una parte o dall’altra. Non c’è spazio per capire, giudicare, eventualmente sbagliare in buona fede. No, solo per militare. “Magari” fossi filo-palestinese, scrive Marietta. Questo è devastante, ci spiega meglio delle decisioni dei politici il perché dell’impossibilità di una soluzione del conflitto: molto meglio essere un nemico che pericolosamente pensare.