Regime change in Italy

Obamas-and-Berlusconi-G20-001Non ci hanno bombardato. Ma per il resto è stato come in Libia: un “regime changing” studiato, concordato, condotto in coordinazione multilaterale, con determinazione e insistenza fino alla vittoria. Con i greci hanno fatto più o meno lo stesso ma non con la medesima fermezza. Perché la bancarotta italiana è insostenibile per tutti e perché la Grecia non ha Silvio Berlusconi, il più mal sopportato dei capi di governo. Papandeu suscitava pena, Berlusconi collera.

   Dovremmo sentirci umiliati, il nostro patriottismo dovrebbe fremere di fronte a questa ingerenza così palese. Anzi, a questa aggressione alla libica. Far cadere il leader di un Paese con i caccia-bombardieri o per scelta dei “Mercati” che nessuno elegge, alla fine non ha molta differenza politica. Questa almeno è la sollecitazione di Giuliano Ferrara, dei pre e post fascisti che lo accompagnano e lo stanno ad ascoltare.

   Sarkozy e Merkel, Cameron, Christine Lagarde, Barack Obama, commissari europei, capi di governo. Per settimane c’è stata sull’Italia un’offensiva concordata di dichiarazioni potenti come bombe. Prima contro Berlusconi, sulla sua inaffidabilità, le bugie dette e le cose mai fatte. Poi, vicino alla conclusione dell’operazione di “regime change”, è subito scattata quella successiva di “nation building” a sostegno di Mario Monti. Il Presidente Napolitano non aveva ancora detto nulla di formale sull’incarico all’ex commissario europeo. Ma Barack Obama già ne condivideva la scelta, rivelando un sostegno che gli americani di solito garantiscono solo a Israele. Dal Fondo Monetario, Lagarde rivendicava la sua amicizia con Monti come se avessero fatto insieme il militare a Cuneo. Le immagini del G20 di Cannes sono state più impietose di quelle dei vertici precedenti: nessuno voleva parlare con Berlusconi.

  Dovrei sentirmi offeso ma non ci riesco. Forse perché mi sento un cittadino europeo nato in Italia, e non mi turba che i miei concittadini corrano in mio aiuto. Ma anche per la maggioranza che continua a ritenersi italiana e poi europea, anche per chi fatica a sentirsi europeista, l’umiliazione dell’intervento esterno non dovrebbe essere superiore all’umiliazione di non essere stati, noi, capaci di liberarci del berlusconismo. Che non si giudica da quello che ha promesso all’elettorato, convincendo la maggioranza, ma da quello che non ha fatto, rifiutandosi con protervia di fare.

  Qualche anno fa il mio farmacista, un giovane simpatico che lavora 12 ore al giorno, mi aveva detto: “Lei che va in giro per il mondo sa bene la bella figura che Berlusconi fa fare al Paese”. Ero perplesso. Un paio di settimane prima, arrivando a Tel Aviv, il taxista sefardita e ultra-ortodosso mi aveva chiesto a brucia pelo: “Perché votate Berlusconi?”. Di fronte al mio balbettio aveva tagliato corto: “poche chiacchiere, mica ha fatto un golpe, lo avete eletto”. Gente normale, accademici, politici, economisti, banchieri, colleghi, amici in Israele, al Cairo, a Johannesburg o a Delhi, a Houston e Hong Kong. Per anni la domanda è sempre stata la stessa: “Perché voi italiani lo votate?”. Da un paio d’anni al quesito già umiliante da solo, aggiungono quasi sempre una devastante barzelletta a sfondo sessuale sul “vostro premier”. Col tempo è stato sempre più chiaro che per i miei interlocutori la colpa non fosse di Berlusconi ma nostra che lo eleggevamo. Cogliendo l’essenza del loro stupore, avevo smesso da tempo di precisare che non avevo mai votato per lui.

  Ecco, è anche per questo che non mi sento umiliato se una coalizione internazionale di “volenterosi” ha dato un contributo essenziale al “regime changing” del mio Paese. Guardo ai Mercati quasi con la stessa riconoscenza che provavo per i rangers americani sbarcati a Omaha Beach, in Normandia.

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  • maurizio aorldi |

    i mercati non sono i rangers americani, non sono i liberatori ma gli invasori.
    sono gli stessi che in questi anni hanno messo in ginocchio l’economia mondiale, senza regole e senza etica.
    ed è stupefacente che bersani riesca a dichiarare che “è il PD che lo ha mandato a casa”.

  • Ludovico Strambozzi |

    Sì.

  • Vanni Frediani |

    Non avrei mai saputo dirlo meglio, grazie.

  • Marco Marchisio |

    NON NE POTEVO PROPRIO PIU’
    NON VEDO L’ORA DI BRINDARE ALLA SUA “DIPARTITA”, SPERANDO CHE NON TROVI ALTRI ITALIANI NOSTALGICI PRONTI A RIVOTARLO. NON SI SA MAI.

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