Che sia per il nucleare iraniano, per gli eccidi del regime siriano o la brutalità di Gheddafi, la giunta militare di Burma o il coreano Kim Jong-il, russi e cinesi sono contro per definizione. Non contro proliferazioni nucleari e dittatori ma contro qualsiasi cosa gli europei in generale e gli americani in particolare propongano.
L’ultimo episodio sul rapporto dell’Agenzia nucleare dell’Onu che denuncia la graduale costruzione della bomba iraniana, e l’Iran che invece nega, pur nella complessità degli intrecci diplomatici e dei servizi segreti, non sarebbe così difficile da risolvere: gli iraniani aprono i loro siti agli ispettori internazionali, si vede se esiste una “canna fumante” e si capisce chi ha ragione. Ma cinesi (di meno) e russi (senza tentennare) sostengono gli iraniani anche quando negano l’accesso ai tecnici dell’Agenzia dell’Onu.
I cinesi non hanno una politica mediorientale. Per loro la regione è solo un’opportunità economica: è la fornitrice dell’energia necessaria al loro sviluppo. Come l’Africa e le sue materie prime. Arabi e israeliani, sciiti e sunniti, Islam moderato e radicale, per loro hanno tutti una sola fisionomia: quella del barile di petrolio. Anche i russi si muovono in Medio Oriente seguendo il filo dei loro affari. Ma se fosse solo questo non sarebbero stati gli ultimi a togliere il sostegno al regime di Gheddafi, sulle ispezioni in Iran sarebbero stati possibilisti come i cinesi, sulla Siria non avrebbero pensato solo alle forniture di armi a Bashar Assad.
Se c’è un Paese al quale le Primavere arabe stanno rovinando gli affari e la credibilità politica, quello è la Russia di Putin. (Ancora per poco, tecnicamente la Russia sarebbe di Medvedev, ma sappiamo che nella sostanza non ha mai smesso di appartenere a Putin). Eppure qualche giorno fa Rosoboronexport si lamentava dei 4 miliardi di dollari in contratti persi solo in Libia a causa dell’embargo. Per loro le Primavere arabe non sono che questo, quasi non sanno cogliere nessun altro aspetto.
Non è tuttavia per i soldi che Vyacheslav Danilenko, già scienziato principe delle armi nucleari sovietiche al centro super segreto Chelyabinsk-70, è ora il tutore del progetto iraniano. Il mondo è cambiato, anche la Russia lo è. Ciononostante, quando decide di definire il suo ruolo internazionale – e la sua autodefinizione è sempre comunque da grande potenza – la Russia ragiona come se la Guerra Fredda non fosse finita con un chiaro vincitore. Di più. Spesso si comporta come se si continuasse a combattere una versione soft della Guerra fredda o come se il gioco fosse ancora quello della realpolitik del XIX secolo.
La debolezza dell’amministrazione Obama sulla scena mondiale facilita queste illusioni. Ma sono illusioni pericolose perché diversamente dalla Cina, la Russia non conquista amici; diversamente dalla Cina, tolto petrolio e gas non è una superpotenza economica; diversamente dai cinesi, i russi non si moltiplicano demograficamente. La loro è solo un’illusione di potenza.