Chi ha paura della Cina?

U19 Le crisi fanno crescere la nostra ansia. Quando sono  come questa, strutturali e forse storiche, l’ansietà diventa geopolitica. Il mondo che eravamo abituati a vedere come dipendente dal nostro in tutto, cresce per conto proprio. I suoi dati salgono e i nostri scendono; i nostri figli avranno meno opportunità e i suoi di più. Temiamo che i Paesi in sviluppo rapido si impadroniscano del nostro potere economico globale come se il mondo avesse una determinata ricchezza fissa: se loro ne conquistano di più, noi diventiamo più poveri. Così il potere politico.

  Goldman Sachs prevede che nel 2027 l’economia cinese supererà quella americana, diventando la prima al mondo, e nel 2050 raddoppierà per dimensioni. Questa crescita all’apparenza irrefrenabile, ammettiamolo, ci fa paura. E ci convinciamo che la Cina, diversamente da India, Brasile, Turchia e dagli altri Paesi in tumultuosa crescita, aspiri a dominare il mondo. Heritage Foundation, il più storico think tank della destra americana e occidentale, sottolinea che le forze armate cinesi stanno anche sviluppando un preoccupante programma militare spaziale: “A growing factor in U.S. security planning”. L’invito a pensare a una nuova Guerra fredda con un altro gigante orientale, è sottinteso.

   “Se non controllate il vostro cortile nel Pacifico non potere essere leader mondiali”, diceva una volta agli americani Lee Kwan Yew, l’ex primo ministro di Singapore. La questione se “ingaggiare” i cinesi in un dialogo costante o “contenerli” con la forza militare, è sempre stata al centro del dibattito politico americano. In realtà da Nixon e Kissinger, negli anni ‘70, gli Stati Uniti hanno sempre praticato con grande successo la collaborazione. Prima dell’11 Settembre, tuttavia, l’amministrazione Bush aveva dato segni evidenti di preferire il confronto muscolare. Poi Osama bin Laden si è offerto come nemico con così tragica evidenza che Condoleezza Rice, allora Consigliere per la Sicurezza Nazionale, ha dovuto cambiare le priorità del suo ufficio.

  Ma la tentazione di rifugiarsi nel contenimento è sempre sotto traccia. Il dibattito fra i candidati repubblicani alle presidenziali dell’anno prossimo, è stato significativo. Appena parlavano di tematiche internazionali, nella loro visione il mondo era pieno di nemici e il primo di questi sembrava essere la Cina. La Cina uguale all’Unione Sovietica, come se la Storia si ripetesse senza fine. Dieci anni fa George Bush paragonava la lotta contro al-Qaida a quella al nazismo.

  Il vecchio Henry Kissinger che diversamente da Bush e i suoi accoliti neocon, è un grande conservatore internazionalista, nel suo ennesimo libro fondamentale, “On China”, ci ricorda che se a Pechino governa un sistema a partito unico e a Washington una democrazia liberale,  questo non è un problema per le relazioni bilaterali. La concorrenza non sarà più ideologica ma economica. Tuttavia la sfida va affrontata per quello che è: davanti c’è un competitor, non un nemico. Più l’economia cinese cresce, più si dovrà legare al mondo che lo circonda. Quando ricevi un quarto delle esportazioni asiatiche, India esclusa,  non puoi permetterti di spaventare i vicini con una politica militare aggressiva. La crescita cinese sembra senza fine ma nella sua marcia prima o poi incontrerà gli ostacoli che hanno affrontato tutte le precedenti storie di successo. Il suo motore sono da anni gli investimenti infrastrutturali, mentre i consumi interni non superano il 35% del Pil, anche se c’è chi dice che siano più di quanto calcolato dagli economisti. Bilanciare gli investimenti con i consumi non è mai un tragitto senza ostacoli, sotto nessuna latitudine economica.

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  • Massimo |

    Paragonare la Cina con l’Urss non è corretto a mio avviso. Quest’ultima non è mai arrivata ad insidiare la posizione di predominio degli Usa, se non dal punto di vista militare (e forse neanche da quello)
    La cina se continua a questi ritmi supererà l’economia statunitense e la staccherà di parecchio divenendo una potenza con notevole margine sugli altri paesi dal punto di vista economico, militare e demografico.

  • Fausto |

    A proposito di Cina
    La Cina è la Germania del Terzo Millennio
    http://www.mentecritica.net/la-cina-e-la-germania-nazista-del-terzo-millennio/informazione/oltre-il-confine/comandante-nebbia/21864/
    Cordialmente

  • Antonio |

    Sarà, ma con tutta questa potenza non riescono nemmeno a produrre un Brand di successo. Me ne dite uno? Uno solo…
    E poi c’è la questione della democrazia, senza la quale una crescita è fatta solo di numeri, che cadono alla prima cortina che va giù.
    E se non costringessero all’abiura o al martirio i giornalisti, ne scopriremmo delle belle sull’integrità morale del partito comunista cinese e dei suoi esponenti, che non credono al capitalismo, sì, ma grazie al loro comunismo hanno fatto più soldi di Bill Gates.
    La Cina come l’Unione Sovietica, il paragone non è così lontano.

  • marco marcolini |

    Sono d’accordo Ugo e vorrei aggiungere un tassello al tuo ricco bagaglio di testimonianze, preso dalla vita diretta di un operatore storico del mercato cinese.
    Nelle mie recenti visite a diversi design institue cinesi ho avuto l’impressione che il divario tecnico culturale tra il nostro occidente e il loro continente si sia notevolmente affievolito. Ancora qualche anno fa, noi europei potevamo raccontare le nostre esperienze e spiegare i nostri achievemnts. Oggi per molti di noi capita l’esperienza di sentirsi dire che quello che diciamo sia lo stato dell’arte, diventato pratica comune. Le giovani generazioni cinesi parlano il linguaggio universale tecnico, grazie alla diffusione del sapere via internet, e grazie alle infinite possibilita’ offerte dal loro mercato e dalle loro risorse, sono interessate solo al leadinding edge tecnico mondiale. Per molti di noi europeisti convinti si dimostra come la fine del colonialismo culturale mentre deve essere un campanello di allarme che ci deve dire come le battaglie culturali debbano ancora essere affrontate e dobbiamo ritenere la Cina un’avversario che e’ormai pronto al rovesciamento del rapporto. E’ un monito per le genrazioni future, un “milites estote parati” per i nostri figli.

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