I pacifisti mi hanno invitato a Udine e sulle doline del Carso, a parlare di conflitti, evidentemente di pace e camminare nelle trincee della Prima guerra mondiale. Ero insieme a circa 3.500 ragazzi di scuole medie inferiori e superiori di: Tivoli, Ruvo di Puglia, Mottola, Milano, Colonna, Galatina, Pontedera, Udine, Città di Castello, Trieste, Terlizzi, Bergamo, Città della Pieve, Ancona, Saluzzo, Gradisca d’Isonzo, Umbertide, Pesaro, Fabriano, Senigallia, La Spezia, Monserrato, Gemona, Potenza, Cingoli, Cagliari, Fano, Tavagnacco, Chiaravalle, Mereto di Tomba, Sinalunga, Foggia, Sarezzo, Sacile, Torgiano-Bettona, Aviano, Monfalcone, Bardi, Cisternino, Tavarnelle Val di Pesa, San Benedetto del Tronto, Imola, Cividale del Friuli, Como Rebbio, Como Lago, Ravenusa, Loreto Aprutino, Grottammare, Martina Franca, San Giovanni in Fiore, Fiumicello, Bari, Cutrofiano, Melicuccà, Recanati, Casamassima.
Ammetterete che con una lista così sarebbe stato difficile declinare l’invito. Anche se per il pacifismo ho sempre avuto una certa diffidenza, per quanto rispettosa. Nel peggiore dei casi – pensavo – i pacifisti sono pacifisti a corrente alternata. Per esempio: contro i bombardamenti israeliani su Gaza ma non contro i razzi di Hamas su Israele; a favore dei russi del Donbass ma non dei “fascisti” ucraini di piazza Maidan. Nel migliore dei casi sono idealisti che ignorano la realtà, all’inseguimento romantico di ciò che non è mai accaduto nella storia umana: la pace nel mondo.
“Meeting di Pace nelle Trincee della Grande Guerra”, era il titolo dell’iniziativa organizzata dalla Tavola della Pace di Flavio Lotti: la marcia Perugia-Assisi dei frati francescani, per semplificare. Arrivati in pullman da tutta Italia, venerdì i ragazzi sono stati divisi in 11 “laboratori” in diversi luoghi di Udine: per tre ore e mezzo hanno sorbito i discorsi degli adulti (fra cui le mie chiacchere da vecchio corrispondente di guerra). Poi hanno presentato i loro lavori sulle guerre e sulla pace: alcuni ingenui, altri pregevoli, tutti preparati con entusiasmo.
Nel pomeriggio marcia e manifestazione che doveva essere all’aperto, davanti al Castello. A causa del tempo da lupi, sono state aperte le porte del Duomo. Fino a sabato pomeriggio pensavo che parlare dentro una cattedrale a qualche migliaio di ragazzi fosse una cosa da papi. Giuro che non mi sono montato la testa.
Sempre divisi per gruppi, il sabato siamo andati nei luoghi della guerra, cento anni dopo. Pioggia dal cielo, spolverate di neve sulle montagne, bora da Trieste. A me è capitato il “Laboratorio di pace, dialogo e fraternità nelle trincee del monte Brestovec”, sotto il San Michele. Sono state combattute 11 battaglie in questa zona, fra il 23 giugno 1915 e il 31 agosto 1917, per lo più finite con “esito inconclusivo” a causa della mediocrità dei nostri comandi. Nell’ultima, dal 13 al 31 agosto del ’17, morirono 160mila italiani e 120mila austriaci. I nostri generali sono invece tutti morti nei loro letti, molti anni più tardi, temo senza rimorsi.
Come molti italiani avevo anche motivi personali per vedere questi luoghi cento anni dopo: un mio bisnonno di nome Vetritti, di San Severo di Foggia, è morto soldato per le conseguenze della guerra (l’influenza spagnola); un mio nonno che si chiamava Langendorff, di Fiume, ha combattuto nella Kriegsmarine imperiale austriaca.
L’idea di Fabio Lotti aveva una logica: i luoghi della Prima guerra mondiale sono una meta delle gite scolastiche di primavera (garantisco che il nostro non sembrava un week end di primavera). Sono passati cento anni. Perché non motivare quei ragazzi parlando loro anche di pace, rispettando il sacrificio dei soldati e contemporaneamente denunciandone l’inutile massacro documentato dalla scienza storica?
Mi sono chiesto: cosa potranno mai imparare i ragazzini di terza media? La risposta che mi son dato è piuttosto semplice: cosa mai potranno imparare di sbagliato? L’assessore alla Cultura di Udine mi ha raccontato che dopo avere allestito i bagni chimici davanti al Castello, il cronista di un giornale locale gli aveva chiesto se quei gabinetti erano per i ragazzi della marcia per la pace. Non erano stati messi lì per i nuovi migranti da poco venuti dal Mediterraneo, un numero dei quali anche Udine ha accolto, vero?
Spingere ragazzini a gridare “chi non salta per la guerra è”, sventolando bandiere arcobaleno fradice di pioggia, per quanto retorico, non è una prima lezione di educazione civica contro la barbarie che ci assedia? Nei “laboratori” i ragazzi esponevano striscioni che semplificavano problemi di gran lunga più complessi. Ma se non incominci da “Dichiareranno la guerra e si troveranno a farla da soli”, non arriverai mai a capire quanto difficile sia smontare quei meccanismi di propaganda con i quali governi e religioni mobilitano per la guerra milioni di uomini. Non so se sono un buon cittadino. Ma se lo sono, una parte di merito è del viaggio a Redipuglia che feci con la mia classe in terza media. Non l’ho mai dimenticato.
Ho partecipato da relatore a questo Meeting di pace, marciando perfino con i ragazzi per il centro di Udine. Camminando ai margini senza impugnare una delle loro bandiere. Soprattutto volevo capire quale fosse la natura di questa illusione pacifista così entusiasticamente condivisa.
Anche intuendolo, mi sentivo tuttavia come un peccatore irredimibile dopo oltre trent’anni di giornalismo tra conflitti, muri caduti ed eretti, di negoziati e paci fallite, elezioni piene di promesse, di diplomazia, illusioni e bugie, di fine della Storia che invece ricomincia peggio di prima. Lo strato di cinismo è ormai troppo profondo per essere spezzato. Ma non così rigido da impedirmi di intuire le fonti di tanto entusiasmo pacifista.
Voglio tuttavia rassicurare i lettori di poca fede e sospettosi come me. Flavio Lotti e i suoi collaboratori non hanno mai tentato d’imporre slogan di pace unidirezionale, palesemente né in modo subliminale. Li ho curati dall’inizio alla fine di questo happening civico al quale, credo, sarei pronto a partecipare di nuovo, freddo e pioggia compresi.