L’insieme dei 107 Paesi che hanno votato a favore dell’ammissione palestinese all’Unesco, dei 52 che si sono astenuti e dei14 che hanno scelto il no, rappresenta una significativa lezione di geopolitica. Descrivono un cambiamento, il mondo nel quale stiamo vivendo.
Da un lato gli Stati Uniti sempre più isolati in un rifiuto che ha qualche serio valore di principio ma politicamente è fallimentare. Anche i tedeschi hanno votato contro ma la Germania, data la sua storia, è un caso a parte: ha il dovere morale di non fare nulla che possa nuocere allo Stato degli ebrei. Dall’altro lato c’è il mondo a favore, quello che diventa importate ogni giorno di più, quello che detiene una parte consistente del debito americano e fra qualche giorno sarà invitato a dare una mano all’euro. Cina, Brasile, Russia, India, Turchia, Sudafrica, Indonesia. E i Paesi arabi ricchi che con i loro fondi sovrani sostengono le nostre banche, comprano imprese, investono nei disorientati mercati finanziari europei.
Sintomatico del mondo che cambia ma non completamente, è il voto-arlecchino dei Paesi Ue, in particolare di quelli dell’Eurozona: si la Francia, no la Germania, astenuta l’Italia (come la Gran Bretagna). Se la votazione avesse offerto una quarta possibilità, un europeo avrebbe occupato anche quella. Testimone, corresponsabile e partecipe da oltre 60 anni del conflitto, la vecchia Europa non è ancora capace di decidere unita quando sia più giusto stare dalla parte dei palestinesi, degli israeliani, di entrambi o di nessuno. Forse è un segno del destino che i nodi del mondo vengano al pettine a causa del più lungo e irrisolvibile conflitto dell’evo contemporaneo.
Il resto che sta per accadere attorno alla questione Unesco è irrilevante. Conta poco se per ritorsione gli Stati Uniti non verseranno il loro contributo annuale all’Unesco, 70 milioni di dollari, il 20% del totale. O se il governo israeliano di Bibi Netanuahu deciderà di bloccare le rimesse fiscali all’Autorità palestinese di Abu Mazen, di rendere ancor più dura l’occupazione militare dei Territori, di isolare la Cisgiordania quanto la striscia di Gaza.
Il voto all’Unesco è solo il primo atto. Entro la fine del mese anche il Consiglio di sicurezza dovrà decidere se ammettere o meno la Palestina. Non verrà ammessa perché in caso di maggioranza del si, uno dei cinque membri permanenti del Consiglio può porre il veto. Gli Stati Uniti lo faranno e bloccheranno ogni cosa: tutto tranne un’altra dimostrazione del loro isolamento. La richiesta palestinese andrà allora all’assemblea generale che voterà a grande maggioranza a suo favore. Ma l’Assemblea non ha i poteri del Consiglio: potrà solo promuovere la Palestina da “entità osservatrice” come è già, a “Stato non membro”, come il Vaticano. Se accadrà questo i palestinesi avranno la loro vittoria. O forse no. Il conflitto continuerà, forse ancora più esacerbato.
Ma tutto questo è irrilevante perché il mondo sta cambiando. Anche il modo israeliano di pensare alla sua sicurezza dovrà cambiare: la forza militare e l’amicizia americana prima o poi non basteranno più. Il mondo che all’Unesco ha votato si alla Palestina non ha automaticamente detto no a Israele. Non è un mondo ostile. La Cina ha buoni rapporti con lo Stato ebraico, l’India li ha più che ottimi sia sul piano strategico che economico, oltre un milione dei cinque milioni di cittadini ebrei d’Israele sono di origini russe. In città intere come Ashdod, Ashkelon, Katzrin si parla più russo che ebraico. Il mondo che cambia non sta per crollare addosso a nessuno.