“Questa crisi non è stata originata in Europa: è incominciata in America del Nord. Il nostro settore finanziario è stato contaminato da pratiche non ortodosse di alcuni settori del vostro mercato finanziario”, aveva risposto molto arrabbiato, a un giornalista americano che all’ultimo G20 in Messico, faceva dell’ironia sul vecchio continente. José Manuel Barroso, presidente Ue, aveva rivelato agli americani e anche a noi stessi che l’Europa ha il suo orgoglio. “Francamente non siamo qui per prendere lezioni su come maneggiare l’economia”, aveva concluso. Grande Barroso, più efficace di Ronaldo sotto porta!
Giudizio ineccepibile, verità storica. Eppure, a cento giorni dalle presidenziali americane, come sempre il primo martedì di novembre, i responsabili del disastro economico occidentale, della più lunga e strutturale crisi dai tempi del ’29, rischiano di tornare al potere. Proprio loro, la stessa banda di Wall Street, i Gordon Gekko, gli unici ad essere più ricchi di prima.
Come ogni candidato repubblicano, Mitt Romney si definisce un “nuovo Ronald Reagan”. Posto che secondo molti esperti Reagan abbia creato le premesse della crisi economica americana di oggi, iniziando lentamente a uccidere la middle class, le sue politiche erano pensate per l’America del 1981: un Paese in crisi d’identità, prima che economica. Il suo alla fine fu un successo spettacolare. Ma Reagan era il 40esimo presidente degli Stati Uniti. Fra cento giorni si elegge il 45esimo di un’altra America, un diverso Occidente.
In ogni caso Romney, così tanto uomo di Wall Street da sembrare un’interpretazione di Crozza, non assomiglia a Reagan. E’ il clone di George Bush: nemmeno Alfano lo è così tanto di Berlusconi. E’ inquietante quello che Romney promette nei suoi comizi: tagliare le tasse agli americani più ricchi, nessun controllo su Wall Street, ridurre quell’insieme di regolamenti che garantiscono quel poco di welfare americano, cancellazione di ogni segno di Medicare (a parte mitragliatori liberi per tutti, politiche anti-aborto e contro le unioni dello stesso sesso; inquinamento atmosferico; sfruttamento di ogni territorio americano, bello o brutto che sia, a fini energetici: il vecchio Teddy Roosevelt, un repubblicano vero, padre fra le tante cose dei grandi parchi naturali americani, si rigirerà nella tomba).
Se vince il miliardario Mitt Romney che fino ad ora ha esibito solo le dichiarazioni dei redditi degli ultimi due anni, sparirà ciò che resta della middle class americana: quella che garantì l’uscita dalla Grande crisi, che ha liberato il mondo dal nazi-fascismo, che ha creato il boom americano, la “Greatest Generation” raccontata da Tom Brokaw, i suoi figli che hanno vinto la Guerra fredda, e i nipoti che hanno inventato Internet. Sparirà quel poco che Barack Obama è riuscito a fare, appesantito dall’eredità di debiti e guerre lasciatagli da George Bush. E l’Europa non uscirà più dalla sua crisi: non intendo dire che ci sia un disegno politico per distruggere l’euro. E’ solo speculazione economica, un modo semplice per arricchirsi ancora di più. E’ quell’avidità – niente deve ostacolare il diritto di pochi di far soldi – che secondo Mitt Romney sarebbe un valore americano.
Se vince Romney l’America non sarà più un esempio. Sarà una tignosa superpotenza che accelererà la sua decadenza nel mondo che fu suo.