Il Sole-24 Ore, 30/11/2012
In un conflitto che continua da più di un secolo nessuno dei suoi protagonisti può rivendicare di essere sempre stato dalla parte della ragione. Tutti hanno avuto il tempo di recitare almeno una volta il ruolo di vittima e persecutore; ognuno di aver promosso una soluzione e di averla ostacolata; di aver ucciso civili o di averlo impedito. Ma una cosa è evidente da ben 45 anni e mezzo: uno dei due attori della grande tragedia è l’occupante, l’altro l’occupato.
E’ questa constatazione che spiega la grande maggioranza di Paesi a favore dello status di “membro osservatore”, finalmente concesso alla Palestina. Secondo il regolamento dell’Onu sarebbero bastati 97 voti, la maggioranza più uno dell’Assemblea generale. E’ stata invece una valanga, accresciuta dal numero degli astenuti fino a ieri favorevoli invece a Israele. C’erano evidentemente i noti nemici e le dittature di un terzomondismo piuttosto superato. Ma, come diceva un funzionario del governo, ieri Israele ha anche “perso l’Europa”. E’ innegabile che il governo italiano sia amico d’Israele, eppure ha votato si alla Palestina; tutti hanno visto quanto Germania e Olanda, pur essendo sempre state dalla parte d’Israele per ragioni di storia e tragedie nazionali, siano state fino all’ultimo tormentate nella scelta.
“Nessuna decisione dell’Onu può rompere il legame di 4mila anni fra la Terra d’Israele e il suo popolo”, minaccia Bibi Netanyahu. La grandissima maggioranza delle nazioni del mondo riconosce questo diritto, compresa ormai la maggioranza dei palestinesi e dei Paesi arabi. Non è vero che Israele è un Paese circondato e minacciato. Eccetto l’Iran khomeinista, Hezbollah, Hamas e al Qaeda nessuno mette in dubbio l’aspirazione e il diritto alla sicurezza di Israele.
Il problema è definire nel XXI secolo i
confini della terra biblica rivendicata da Netanyahu. Non lo ha mai fatto e in
verità nessun governo ha mai indicato le frontiere del moderno Israele. Abu
Mazen lo ha fatto, proponendo quella precedente alla guerra dei Sei giorni del 1967. Non come
mantra ma come base di trattativa: agli arabi il 25% della vecchia Palestina
mandataria inglese, agli ebrei il 75. E’ un’equa spartizione che riconosce
anche gli errori storici compiuti dagli arabi.
A Netanyahu non basta nemmeno questo. Se l’attuale
governo israeliano di estrema destra ha una visione di Stato palestinese,
questo sono le città della Cisgiordania isolate le une dalle altre, come
bantustan circondati da colonie e posti di blocco militari. Le ragioni di
Israele sono molte, ma quelle proposte dal suo attuale governo non convincono
più gli amici, nemmeno i più sinceri. La mossa di Abu Mazen non esclude la
ripresa della trattativa diretta, come dice Netanyahu: al contrario, la vuole promuovere.
“Non c’è ragione che Israele vi si opponga”, dice anche l’ex premier Ehud
Olmert: “Dobbiamo dare una mano per incoraggiare le forze moderate”.
Se Hamas continua la sua personale guerra di
liberazione, l’Autorità palestinese della Cisgiordania invoca da anni un
compromesso pacifico che il governo israeliano ha sempre ignorato. E questo è
un altro punto forte del voto così massiccio alle Nazioni Unite: sarebbe stato
incongruo e politicamente sciocco negare una richiesta fatta pacificamente,
rispettando le regole del massimo consesso mondiale, dopo che Hamas aveva vinto
la sua partita a Gaza lanciando invece razzi su Israele.
E’ vero che per riprendere il negoziato Abu Mazen
aveva posto una precondizione: il congelamento delle colonie. Ma gli israeliani
ne avanzavano di nuove ogni volta che il dialogo sembrava riprendere: i
palestinesi devono dichiarare la fine del conflitto, i palestinesi devono
riconoscere l’ebraicità dello Stato d’Israele, rinunciare all’accesso al
Giordano, non avere un esercito, accettare il Muro e nonostante questo i raid
in Cisgiordania degli israeliani, concedere i diritti pretesi per i coloni e cedere
quelli della popolazione palestinese.
Infine non è del tutto vero che diventando
Stato “membro osservatore”, come il Vaticano, i palestinesi avranno accesso
alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja dove potrebbero chiedere
l’incriminazione di Israele: posto che lo vogliano percorrere, è un processo
complesso che può facilmente fallire.
L’ultimo
aspetto che spiega il voto a super maggioranza che mette in allarme Israele e
umilia gli Stati Uniti, è l’irrilevanza della questione. Per cosa, alla fine, è
successo tutto questo? Bibi Netanyahu dice che sul campo non cambia nulla. Lo
sanno anche i palestinesi. Quella di ieri a New York non è stata una giornata
storica, si è solo ratificato un atto dovuto. E’ stato finalmente concesso
quello che chiedeva da tanti anni un vecchio professore palestinese di Harvard,
Walid Khalidi: “una modica quantità di giustizia”.