Il neo ministro della Difesa Mario Mauro è appena stato a visitare il contingente italiano Unifil nel Libano Sud. Una decina di giorni fa era andato anche a Herat, dai nostri in Afghanistan. Visite non solo di cortesia: soprattutto gesti politici per riaffermare gli impegni militari dell’Italia nel mondo, anche con questo strano governo la cui coesione è solo nell’emergenza.
Le nostre due più importanti missioni all’estero sono molto diverse fra loro. Quella a Naqura, nel Libano meridionale, è multinazionale ma sotto egida Onu: una missione militare di pace “perfetta” per dividere israeliani da Hezbollah dopo la guerra dell’estate 2006. Di questa impresa abbiamo il comando, il generale Paolo Serra, e il contingente più numeroso: circa 1200 donne e uomini. E’ evidente che se Israele ed Hezbollah decidessero di chiudere i conti lasciati aperti sette anni fa, l’Unifil non avrebbe i mezzi né il mandato per impedirlo. Ma questo non la rende una missione inutile se sono i due contendenti a insistere perché Unifil resti dov’è.
Quella afghana, Isaf, è una “imperfetta” missione militare di pace e di guerra: è più politica della prima e prevede che anche noi si combatta. Era stata approvata dal Consiglio di sicurezza che tuttavia nel 2003 l’ha appaltata alla Nato.
Soprattutto Unifil dovrebbe andare bene anche
ai pacifisti, la seconda molto meno. Ma questa è una stagione di crisi
economica, i tempi del colera per parafrasare Garcia Marques. Per il ministro
della Difesa come per quello degli Esteri, non è facile ricordare che una
politica di difesa e una diplomazia non sono meno essenziali delle politiche sociali
ed economiche per un Paese che voglia uscire dalla sua crisi e restare
dignitosamente nel consesso internazionale.
Il pacifismo è una cosa: alta, come direbbe
un intellettuale di sinistra, e profondamente dignitosa. Il populismo e il
massimalismo un’altra, completamente diversa. Ma, appunto ai tempi del colera,
i populisti s’impossessano del pacifismo, avendone orecchiato i temi. E’
bastato che gli americani spostassero 500 marines dalla Spagna a Sigonella,
come eventuale forza d’intervento rapido in Libia, rispettando gli accordi con
l’Italia, per scatenare polemiche. Sollevate anche da rappresentanti del Pd,
forza di governo.
Poiché le spese per la Difesa sono
considerate superflue, non basta ridurle: bisognerebbe eliminarle dirottando
risorse a favore della ripresa economica e dei lavoratori. Come se i militari
non fossero lavoratori. Come se gli otto marinai di Genova non avessero gli
stessi diritti alla sicurezza sul lavoro dei loro colleghi civili. Come se i
due marò in India non meritassero la stessa solidarietà orizzontale, apolitica,
di altre vicende che coinvolgono gli italiani all’estero.
Non sono un esperto di cose militari e non so
quale sia il limite minimo di tagli alla Difesa sopportabili perché il Paese ne
abbia una, decente. Ma credo che partecipare a una missione militare come
Unifil nel Sud del Libano, sia un onore per il Paese. Non so nemmeno se e
quanti F35 servano all’Italia; se si debbano spendere 40 miliardi di euro, se
davvero questa è la cifra. Penso però che, per come continua ad andare il
mondo, l’Italia abbia bisogno di una difesa aerea.
Non è una priorità e, se non espressamente
interrogato, il Governo cerca di ignorare la questione degli F35 per evitare
polemiche che ora non servono. Ma prima o poi bisognerà decidere, qualcuno
dovrà spiegare se, quanti e quando nuovi aerei serviranno per la sicurezza
nazionale. E’ possibile fare in Italia un dibattito serio? E’ possibile evitare
che gli F35 diventino un’altra Tav: non una questione seria ma un campo di
battaglia di tante velleità a prescindere?