Salvo altri ritardi, lunedì Matteo Renzi farà un altro passo avanti nelle sue riforme. Conosceremo i nomi dei nuovi manager pubblici, di quelli che saranno confermati e chi verrà messo da parte. Dovrebbero anche essere stabiliti i tetti di stipendi, bonus e premi di produzione.
Il dibattito e la polemica durano da tempo. Tuttavia non abbiamo visto decine di Ceo e direttori generali degli enti pubblici, dare le dimissioni e passare nel settore privato, mettendo in pratica la minaccia di Mauro Moretti: andarsene perché il mercato italiano e internazionale non aspettavano che loro. Nessun esodo né rumore di porte sbattute. Solo silenzio, volar basso e probabile lobbing politica per salvare la cadrega (sedia, per chi no habla milanès).
Slow News è un blog di politica internazionale, non italiana, e non voglio snaturarne la vocazione né trasformarlo in un bazar tuttologico. Cerco dunque di dare un contesto transfrontaliero a questa vicenda che mi interessa come cittadino, più che da giornalista.
Probabilmente sono stato un lettore distratto della vicenda attorno ai manager pubblici, ma non mi sembra di aver sentito dichiarazioni sulla grande bellezza del servire lo Stato; nessuno dire che, una volta garantito uno stipendio di alto livello (ma realistico) che corrisponda alle responsabilità ricoperte, la cosa più importante sia contribuire a rendere l’Italia più equa, moderna, civile ed efficiente. Mettersi al servizio dello Stato non è così disdicevole: io ho avuto l’opportunità di farlo una volta sola, da militare, e senza esagerare nella retorica mi sento onorato.
Negli Stati Uniti ogni amministrazione porta con sé alla Casa Bianca i suoi grands commis, i consiglieri, gli amministratori vicini al presidente e/o al partito. Vincono i democratici e Obama chiede ai migliori Ceo privati di fare i ministri, ai professori universitari e alle teste d’uovo dei think tank di andare a definire politiche al dipartimento di Stato, a quello dell’Energia o della Sanità.
Perdono i democratici e tutti quanti tornano al mercato privato, contesi con contratti da sogno, impegnati a scrivere saggi sulla politica estera o energetica che loro, dall’interno, hanno contribuito a definire. E al loro posto il nuovo presidente repubblicano – o un altro democratico – porta con se donne e uomini che ritiene siano i migliori su piazza.
Perché questo è il gioco: il presidente ha tutto l’interesse a cercare i più bravi che lo aiuteranno a fare una migliore politica per mantenere il consenso degli elettori. Il leader degli Stati Uniti e del mondo libero che guadagna meno del presidente della Regione Sicilia, non può pagare alti salari. Ma per quelli che lui sceglie, la parte più importante della retribuzione non sono dollari e bonus. E’ la possibilità di servire il loro Paese, la grande fortuna di pensare e applicare quelle che pensano siano le politiche migliori per i cittadini americani. Il denaro, l’ambizione e l’etica, insomma.
Se fossi Mauro Moretti sognerei di poter fare conferenze stampa per annunciare che dopo aver guidato la rivoluzione tecnologica di andare da Milano a Roma in due ore e cinquanta, ora anche i pendolari sulla Milano-Bergamo
possono viaggiare a una velocità compatibile con il XXI secolo e i loro orari di lavoro: entrerei nella storia dei trasporti italiani. Se fossi Luigi Gubitosi vorrei diventare famoso liberando la Rai dal controllo dei partiti, impedendo per sempre a Renzi, Berlusconi o all’immortale Casini di “portare i suoi”. E se Attilio Befera riuscisse a far pagare le tasse a quasi tutti gli italiani, nelle piazze italiane sposteremmo di qualche metro le statue equestri di Garibaldi per fare un po’ di posto alle sue.
E poi, così carichi di gloria, darebbero le dimissioni alla fine del loro mandato, mettendosi sul libero mercato: nel quale dovrebbero solo chiedersi quanto vogliono diventare ricchi. In piena legittimità. Come James Baker, per fare un esempio, uno dei più grandi avvocati d’affari del Texas. Andò a fare il segretario di Stato di George Bush (il padre, il Bush migliore). Governò la riunificazione tedesca e la fine dell’Unione Sovietica, cercando d’impedire che l’Ucraina se ne distaccasse, senza far scoppiare la III guerra mondiale in Europa; liberò il Kuwait ma non invase l’Irak; costrinse Israele a sospendere la costruzione delle colonie e ad iniziare un negoziato di pace. Poi tornò al suo studio legale “Trangugia e Divora” . Grands commis italiani, la Storia è nelle vostre mani.